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Chiappucci: “Oggi i ciclisti vogliono i soldi alla prima gara buona”

Volto del ciclismo nei primi anni Novanta, Claudio Chiappucci ripercorre la sua carriera tra vittorie e trionfi sfiorati. Poi critica l’evoluzione della disciplina 
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Chiappucci: “Oggi i ciclisti vogliono i soldi alla prima gara buona”

Volto del ciclismo nei primi anni Novanta, Claudio Chiappucci ripercorre la sua carriera tra vittorie e trionfi sfiorati. Poi critica l’evoluzione della disciplina 
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Chiappucci: “Oggi i ciclisti vogliono i soldi alla prima gara buona”

Volto del ciclismo nei primi anni Novanta, Claudio Chiappucci ripercorre la sua carriera tra vittorie e trionfi sfiorati. Poi critica l’evoluzione della disciplina 
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Volto del ciclismo nei primi anni Novanta, Claudio Chiappucci ripercorre la sua carriera tra vittorie e trionfi sfiorati. Poi critica l’evoluzione della disciplina 
Preferisce raccontare che ora gli anni sono 30, con un extra-pacchetto trentennale, tra bici e una vita all’attacco, sempre sui pedali. Claudio Chiappucci è stato il volto del ciclismo italiano della prima fetta degli anni Novanta. Pochi campioni come lui sono stati popolari, amati, inseguiti sui percorsi. Si divise l’affetto del pubblico con Gianni Bugno, l’alter ego agli antipodi che ha saputo vincere e soprattutto emozionare sulla strada almeno quanto lui. Dopo di loro è arrivato Marco Pantani. «Con Gianni si era grandi rivali: io attaccavo appena vedevo che la strada saliva; lui aveva una pedalata potente, elegante. Anche i caratteri erano diversi: lui enigmatico, silenzioso; io, diciamo, più focoso» ricorda El Diablo. «Se avessimo corso nella stessa squadra saremmo stati imbattibili, ma ci siamo trovati davanti un fenomeno come Miguel Indurain, uno che a cronometro andava come una moto. Poi con il tempo con Gianni siamo diventati amici, ci siamo conosciuti a fondo, andando oltre la competizione sportiva. È un bel regalo che mi ha fatto il tempo». Per il 60esimo compleanno si è regalato un tour a New York. Sulla sua pagina Instagram ci sono foto di Manhattan, del Ponte di Brooklyn e della Fifth Avenue. «Sto bene con me stesso e mi godo la vita dopo anni di grandi sacrifici. Anche se in verità sono sempre in viaggio. Della generazione anni Novanta sono quello che si muove di più, con eventi tra Belgio, Spagna e ovviamente Francia, dove ho scritto forse le pagine più belle della mia carriera. Al Tour de France andavo davvero forte. C’erano le montagne, il fascino della Grand Boucle, il caldo» sospira Chiappucci, che nella grande corsa a tappe francese ha vestito più volte la maglia a pois, quella che va al leader del Gran premio della montagna. Nel 1990 sorprese tutti, arrivando secondo in classifica generale dietro lo statunitense Greg Lemond, primo italiano sul podio a Parigi dal 1972. Non ha invece mai colto la vittoria finale in un grande giro, ma la concorrenza era davvero spietata. «Eppoi non va dimenticato che allora vi erano tappe a cronometro da 40-45 km, non come adesso. Ma non ho rimpianti» precisa il campione lombardo. Una Milano-Sanremo, due Giri del Piemonte, star in Francia con tre tappe vinte al Tour: il paradosso è che Chiappucci al Giro d’Italia ha vinto solo una tappa, 30 anni fa. Ma fu una firma d’autore a Corvara, dopo una lunga fuga di Bugno e una marcatura asfissiante di Miguel Indurain. «Quel giorno con Gianni ci siamo invertiti i ruoli: lui all’attacco, io in attesa, assieme allo spagnolo. Che ricordi» ci dice dalla Grande Mela. El Diablo continua ad allenarsi, per lui il ciclismo ha perduto appeal: «Troppa tecnologia, le corse sono diventate noiose, l’interesse sale solo nei pressi del traguardo. Eppoi i ragazzi si perdono molto presto, non mi sembrano disposti a fare davvero i sacrifici. Alla prima gara buona vanno alla ricerca di soldi, contratti e poi durano pochi anni. È davvero finita un’epoca». Di Nicola Sellitti

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