La Nazionale senza Nazione
La forza unificatrice del calcio come veicolo di rivendicazione politica ma soprattutto sociale, quando un Paese da chiamare “casa” non ce l’hai: stiamo parlando della nazionale… Senza nazione
La Nazionale senza Nazione
La forza unificatrice del calcio come veicolo di rivendicazione politica ma soprattutto sociale, quando un Paese da chiamare “casa” non ce l’hai: stiamo parlando della nazionale… Senza nazione
La Nazionale senza Nazione
La forza unificatrice del calcio come veicolo di rivendicazione politica ma soprattutto sociale, quando un Paese da chiamare “casa” non ce l’hai: stiamo parlando della nazionale… Senza nazione
La forza unificatrice del calcio come veicolo di rivendicazione politica ma soprattutto sociale, quando un Paese da chiamare “casa” (“Nazione”) non ce l’hai. Popoli sparsi per il mondo a causa della diaspora. Esiliati da dittature o discriminazioni o ancora esistenti fisicamente ma non a livello ufficiale, perché non riconosciuti. Quasi tutti hanno una loro Nazionale e persino una Federazione che gestisce il campionato. Il modo più semplice e immediato per dire «Ci siamo anche noi».
Fra le più rappresentative c’è senz’altro quella degli Uiguri, la minoranza turcofona discriminata in Cina. La Federazione (East Turkestan) esiste sin dal 1949. Fa base nei Paesi Bassi e a essa fanno riferimento calciatori – molti professionisti – provenienti da 10 Stati diversi. «Il calcio è la piattaforma che ci consente di fare dichiarazioni politiche. Estendere le relazioni internazionali e aumentare le abilità e le aspirazioni del nostro popolo nel mondo» spiegano dalla Federcalcio uigura.
Più recente ma non meno importante è la selezione del Tibet, nata nel 2001 con la benedizione del Dalai Lama. Con base in India, organizza campionati maschili e femminili e gestisce la Nazionale. Darfur United, con sede a Los Angeles, è invece la rappresentativa dei rifugiati dalla zona di confine fra Ciad e Sudan. Dal 2018 ha anche una squadra femminile. «Attraverso questa selezione vogliamo fare luce su una delle popolazioni più dimenticate e vulnerabili, in particolare sulla condizione delle donne» spiegano. Sempre dalla Cina arriva anche la rappresentativa del popolo Hmong, distribuito fra 11 Paesi e tre Continenti.
Il palcoscenico più importante di selezioni come queste sono i campionati della Conifa, la Federazione calcistica delle minoranze etniche, dei popoli senza Stato e in generale delle realtà fuori dai contesti ufficiali. Organizza i Mondiali ogni due anni ma da qualche tempo anche i campionati continentali. Fra le squadre più forti c’è quella del Barawa, composta da profughi somali in Inghilterra; ma se parliamo del Corno d’Africa i fari si accendono soprattutto sulla formazione del Somaliland, repubblica autonoma staccatasi dalla Somalia dopo la fine della dittatura di Siad Barre e non riconosciuta a livello internazionale. Situazione simile per il Sahrawi, la rappresentativa del Sahara Occidentale, conteso fra Marocco e Fronte Polisario.
Altra selezione sotto i riflettori in Asia è quella del popolo Rohingya, minoranza etnica discriminata nel Myanmar, composta in gran parte dai rifugiati in Malaysia: «Molti di questi giocatori sono emarginati, discriminati e privati dei diritti fondamentali, tanti sono fuggiti dal Paese nella speranza di un futuro migliore» dicono dalla Federazione. «Bloccati in un limbo precario in Malaysia, si sono uniti per provare a cambiare tutto questo». Ma in Asia spiccano anche la Nazionale Tamil, che riunisce la diaspora europea e canadese, e quella del Kurdistan (con base in Iraq).
E l’Europa? Fra le più attive politicamente (e anche fra le più forti a livello tecnico, con diversi professionisti) ci sono la rappresentativa di Cipro Nord – la parte dell’isola rivendicata dai turchi – e quella del popolo lappone (Sápmi), sparso fra quattro Stati. Inoltre è pronta a ripartire con più forza la Nazionale dell’Artsakh: oggi che il Paese non c’è più (perché riassorbito dall’Azerbaigian dopo la fine del conflitto), il calcio sarà ancora di più uno strumento di rivendicazione politica. Così come lo è da qualche anno per una delle poche squadre dell’Oceania, quella delle Hawaii: a gestirla è il Movimento per la sovranità delle isole, che vuole l’indipendenza e definisce il territorio «in prolungata e illegale occupazione militare da parte degli Stati Uniti, a partire dall’annessione del 1898».
di Emanuele Lombardini
La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
-
Tag: calcio
Leggi anche