Le due versioni d’Italia, del tennis e del calcio
Nello sport, come in numerosi altri ambiti, esistono come minimo due versioni dell’Italia. Destinate a non incrociarsi mai, abituate a ignorarsi, convinte che non ci sia un’alternativa

Le due versioni d’Italia, del tennis e del calcio
Nello sport, come in numerosi altri ambiti, esistono come minimo due versioni dell’Italia. Destinate a non incrociarsi mai, abituate a ignorarsi, convinte che non ci sia un’alternativa
Le due versioni d’Italia, del tennis e del calcio
Nello sport, come in numerosi altri ambiti, esistono come minimo due versioni dell’Italia. Destinate a non incrociarsi mai, abituate a ignorarsi, convinte che non ci sia un’alternativa
Lo sport è sport, la politica, la politica economia e la formazione restano cose diverse. Eppure nello sport, come in numerosi altri ambiti, esistono come minimo due versioni dell’Italia. Destinate a non incrociarsi mai, abituate a ignorarsi, convinte che non ci sia un’alternativa.
Oggi l’Italia del tennis – non solo l’Italia del fenomenale Jannik Sinner – è l’Italia dell’impresa e della concorrenza. Il Paese che da decenni sorprende il mondo con la sua voglia di costruire sempre qualcosa di nuovo. Di andare oltre quelli che possono apparire limiti strutturali, in qualche misura invalicabili.
L’Italia del tennis è l’Italia della programmazione seria e duratura nel tempo, della selezione onesta, trasparente ed esigente dei più meritevoli, accompagnati nel loro percorso di crescita. Il che non significa lasciare indietro gli altri, ma riconoscere talenti, attitudini e differenti step evolutivi.
L’Italia del tennis non ha nulla di casuale, se escludiamo l’assoluta eccezionalità del numero uno al mondo. Fenomeni di quel tipo, come il suo grande avversario e nemesi Carlitos Alcaraz, vengono fuori ogni trenta o cinquant’anni e devono essere “solo” individuati e agevolati nel naturale percorso di crescita.
Il resto è programmazione, pazienza, lavoro. Un atleta come Lorenzo Musetti, appena un paio di gradini sotto Sinner, nell’Italia del tennis di prima si sarebbe perso, schiacciato da frette insensate, lavori sballati, coach inadatti. È solo un esempio, ma l’Italia di Musetti (come quella degli altri quattro, oltre lui e Sinner, nei primi 50 al mondo) è l’Italia delle Pmi che scala posizioni una dopo l’altra, arrivando dove il mondo non si aspettava di trovarla.
Poi c’è, ingombrante e monolitica, l’Italia che non cambia mai e ripete con costanza i suoi errori: l’Italia del calcio della Nazionale che non ha neppure il coraggio e la faccia di assumersi le proprie responsabilità e abbandona il capro espiatorio ad annunciare il suo stesso esonero. Uno spettacolo da record mondiale del cattivo gusto.
Quella è un’Italia che conosciamo molto bene: attaccata alla poltrona, improduttiva, sclerotica, gerontocratica, corporativa. Vizi vecchi di decenni, fenomeni carsici perché insiti in un pezzo dell’anima del Paese, con cui abbiamo deciso di non fare i conti.
Restando al mondo dello sport, quella che produce la surreale candidatura di Franco Carraro alla presidenza del Coni nel 2025. Per la cronaca, oltre altre mille cariche, Carraro è stato presidente del Coni dal 1978 al 1987 gestendo le Olimpiadi dei boicottaggi di Mosca e Los Angeles. Un’altra era geologica.
Non staremo qui a annoiarvi sottolineando se ci sentiamo più vicini alla programmazione del tennis o alla faciloneria del calcio. Il punto è che l’improvvisazione alla lunga finisce per corrompere tutto. Come con Luciano Spalletti, abbandonato prima domenica e poi in campo ieri sera con una prestazione svogliata e raffazzonata. Un’indecenza con un facile colpevole.
di Fulvio Giuliani
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