Le goggiate e la ricerca del limite
Una corsa contro il tempo. Dopo l’infortunio subito a Cortina d’Ampezzo, Sofia Goggia ha iniziato la riabilitazione per le Olimpiadi del 15 febbraio, che la vedranno lanciarsi a oltre 100km/h in discesa libera.
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Le goggiate e la ricerca del limite
Una corsa contro il tempo. Dopo l’infortunio subito a Cortina d’Ampezzo, Sofia Goggia ha iniziato la riabilitazione per le Olimpiadi del 15 febbraio, che la vedranno lanciarsi a oltre 100km/h in discesa libera.
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Le goggiate e la ricerca del limite
Una corsa contro il tempo. Dopo l’infortunio subito a Cortina d’Ampezzo, Sofia Goggia ha iniziato la riabilitazione per le Olimpiadi del 15 febbraio, che la vedranno lanciarsi a oltre 100km/h in discesa libera.
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Una corsa contro il tempo. Dopo l’infortunio subito a Cortina d’Ampezzo, Sofia Goggia ha iniziato la riabilitazione per le Olimpiadi del 15 febbraio, che la vedranno lanciarsi a oltre 100km/h in discesa libera.
È uno dei pochissimi protagonisti dello sport italiano capace di fare notizia, quando vince e anche quando ‘perde’ rovinosamente come domenica. Calciatori esclusi, s’intende. Fa quasi male scriverlo di Sofia Goggia, ma vediamola così: è un ulteriore riconoscimento di ciò che questa incredibile atleta è riuscita a fare.
Sofia è ufficialmente da quarantott’ore in ‘zona-miracolo’, cercando di recuperare in venti giorni l’Olimpiade di Pechino 2022. I Giochi per cui è stata disegnata alfiere della delegazione italiana, dopo il trionfo a cinque cerchi di quattro anni fa a Pyeongchang. La logica, la storia di infortuni simili o assimilabili a quello subìto a Cortina e persino la prudenza per il futuro imporrebbero di lasciar perdere. Di non mettere a repentaglio sé stessa per difendere un titolo olimpico in condizioni estreme. La Goggia che abbiamo visto lasciare la gara a braccia e camminare a stento all’uscita dalla clinica milanese in cui è stata visitata deve (dovrebbe), nel giro di tre settimane, lanciarsi a oltre 100 km/h in discesa libera. Se non è un miracolo questo – cercato e cocciutamente voluto – spiegateci un po’ quale potrebbe mai essere.
Sin qui la razionalità, sia chiaro, ma per gli interpreti della velocità in generale e in particolare per la pazzesca campionessa bergamasca la razionalità è solo una parte dell’insieme. ‘Pazzesca’ è aggettivo voluto. Sofia ha costruito la carriera su una personalissima interpretazione delle gare, figlia di un rapporto viscerale con la velocità. Se non la si conosce, se non si approfondisce questo amore folle (appunto) e dichiarato per la ricerca dell’estremo sugli sci, non si può capire l’atleta. Si corre il rischio di cominciare a ragionare asetticamente di rischi eccessivi, di un amore distorto per il pericolo e cose così.
Intendiamoci, Sofia Goggia non ha mai negato – non a caso, lei stessa ha coniato il neologismo “goggiate” – gli errori, le volte che ha rischiato troppo, anche di farsi male. Il punto è che tutto ciò non è incoscienza ma puro istinto per la velocità e la competizione, che Sofia sa di dover controllare ma non può soffocare. Non sarebbe più lei, non avrebbe vinto tutte le discese libere di questa stagione, tranne l’unica in cui è volata via prendendo quella che poi ha definito una «cartella pazzesca». È una sciatrice che conosce il proprio limite e che ha scelto lucidamente di gareggiare sempre per avvicinarlo quanto più possibile, imparando a non andare oltre, per finire nella ricerca di una temerarietà pericolosa e fine a sé stessa. Ricorda molto da vicino un pilota di Formula 1: anche in pista la differenza si fa in centesimi o millesimi di secondo, che si vanno a cercare lambendo il proprio limite. Il rischio c’è e non si nega, insieme all’infinita casistica delle circostanze esterne, della cattiva sorte e così via.
Per tutto ciò, se vedremo Sofia Goggia al via della discesa libera olimpica del 15 febbraio, avremo davanti questa Sofia Goggia. Non una pallida imitazione per onore di firma e in ricordo del trionfo coreano di quattro anni fa. Non sarà un “o la va o la spacca” (oltretutto di cattivo gusto, considerata la situazione), ma una decisione consapevole di una campionessa che sa gareggiare soltanto per vincere. E questa non sarà mai una maledizione.
di Diego de la Vega
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