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L’ultimo Messi

La prima dichiarazione da campione del mondo Lionel Messi l’ha dedicata alla Coppa del Mondo: «Questa era la mia ultima partita al Mondiale». Una questione anagrafica, certo, ma solo nella sua ovvietà, perché il sipario per Leo è calato domenica nel modo e nel momento più bello

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L’ultimo Messi

La prima dichiarazione da campione del mondo Lionel Messi l’ha dedicata alla Coppa del Mondo: «Questa era la mia ultima partita al Mondiale». Una questione anagrafica, certo, ma solo nella sua ovvietà, perché il sipario per Leo è calato domenica nel modo e nel momento più bello

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L’ultimo Messi

La prima dichiarazione da campione del mondo Lionel Messi l’ha dedicata alla Coppa del Mondo: «Questa era la mia ultima partita al Mondiale». Una questione anagrafica, certo, ma solo nella sua ovvietà, perché il sipario per Leo è calato domenica nel modo e nel momento più bello

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La prima dichiarazione da campione del mondo Lionel Messi l’ha dedicata alla Coppa del Mondo: «Questa era la mia ultima partita al Mondiale». Una questione anagrafica, certo, ma solo nella sua ovvietà, perché il sipario per Leo è calato domenica nel modo e nel momento più bello

Appena due giorni e possiamo già scrivere con assoluta certezza che Argentina-Francia resterà scolpita nel cuore di chi ama questo sport imperfetto e talvolta crudele. Unico. Come il genere umano, in fin dei conti. E come l’uomo e la vita, il calcio non è certo immune – anzi – da esagerazioni, difetti che lo portano lontanissimo dai puri ideali sportivi, tentativi di malversazione e circondato da chi se ne vuole costantemente approfittare. Nonostante tutto, resta inarrivabile nelle emozioni che regala a chi sia disposto a lasciarsi cullare dalle infinite storie che continua a narrare da 92 anni di Mondiali.

Come definire, del resto, la parabola dell’uomo simbolo del trionfo argentino? Favola, epica, romanzo, tragedia, gran finale… tutto condensato in una sera che è lo specchio di una vita. Il predestinato, inseguito per un’intera esistenza da un paragone capace di macinare chiunque e per un po’ anche lui stesso, fino al momento in cui l’uomo che fu chiamato “la pulce” decise di far pace con la sua storia. Basta paragoni, basta ansie, dopo aver bruciato buona parte delle proprie gioie mondiali sugli altari di una vittoria che vale tutto, in special modo quando continua a sfuggirti.

È nel momento in cui Leo Messi ha deciso di essere semplicemente sé stesso – il più grande della sua generazione, il discorso è chiuso – ha permesso al suo idolo, mentore ed eterno modello di lasciargli lo spazio necessario a compiere il suo di percorso. Ci vogliono decenni per crescere e in alcuni casi non basta una vita intera. Messi ha impiegato il suo tempo per “abbracciare” da pari a pari Diego Armando Maradona e l’insopportabile peso di un’eredità che tracimava ben oltre il campo. Quando ha deciso di farlo, si è chiuso il cerchio e il mondo ha capito perché nessuno è stato come lui negli ultimi vent’anni. Perché – come abbiamo sempre sostenuto, schierandoci nell’eterno dibattito – lui sarà sempre più di Cristiano Ronaldo: è una questione di cuore.

La tecnica c’entra, ma solo fino a un certo punto. C’entrano i trofei vinti, talmente tanti da non ricordarli più, ma nella sua modernità ipertrofica il calcio è al Mondiale che riesce a conservare una genuina e paradossale semplicità. Come il calcio di Messi. Il torneo più grande, in cui alla fine i protagonisti restano soli con i propri compagni, i propri pensieri e le emozioni primordiali che il pallone è in grado di generare. Al Mondiale Leo ha firmato il suo capolavoro perché era scritto così: non nelle stelle o in una generica idea di destino, ma nel voler essere il campione di un Paese e di una generazione.

La sua storia finisce qui, qualsiasi cosa accadrà d’ora in avanti. Può aiutare, per comprendere il senso di queste parole, ciò che raccontò tanti anni dopo il trionfo di Madrid ‘82 Paolo Rossi. L’eroe indiscusso del Mundial azzurro, che pure giocò ai massimi livelli un discreto numero di anni oltre quell’irripetibile estate, confessò solo decenni dopo – innanzitutto a sé stesso – ciò che aveva provato la notte del trionfo sulla Germania. Nell’aprire il suo album dei ricordi, parlò di totale svuotamento, di assoluta incapacità di potersi immaginare ancora con un senso su un campo da calcio. Troppo alte la cima raggiunta e le gioie vissute, per trovare altre motivazioni.

Ovviamente, nulla sappiamo di ciò che possa passare oggi nella testa di Leo Messi, quali molle potranno scattare ancora nell’ultima parte della sua carriera. Sappiamo per certo, perché è la storia del calcio a insegnarcelo, che dopo il Mondiale non c’è nulla. Almeno nulla di lontanamente paragonabile. Ci sono quantità spaventose di quattrini, le spettacolari e amatissime competizioni per club, numeri e record. Ma non c’è il Mondiale e infatti la prima dichiarazione da campione del mondo l’uomo che fu “la pulce” l’ha dedicata alla Coppa del Mondo: «Questa era la mia ultima partita al Mondiale». Una questione anagrafica, certo, ma solo nella sua ovvietà, perché il sipario per Leo è calato domenica nel modo e nel momento più bello. Si potranno aggiungere dettagli e particolari, ma ognuno di noi conosce già la storia da raccontare – senza tempo – intorno a un fuoco e a un pallone.

Di Fulvio Giuliani

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