L’Italia del rugby merita più di un miracolo
La vittoria italiana nello sport della palla ovale viene sempre vissuta, in patria e all’estero, come una sorta di miracolo, ma dopo i risultati ottenuti negli anni questa visione “miracolista” merita di essere cambiata
L’Italia del rugby merita più di un miracolo
La vittoria italiana nello sport della palla ovale viene sempre vissuta, in patria e all’estero, come una sorta di miracolo, ma dopo i risultati ottenuti negli anni questa visione “miracolista” merita di essere cambiata
L’Italia del rugby merita più di un miracolo
La vittoria italiana nello sport della palla ovale viene sempre vissuta, in patria e all’estero, come una sorta di miracolo, ma dopo i risultati ottenuti negli anni questa visione “miracolista” merita di essere cambiata
La vittoria italiana nello sport della palla ovale viene sempre vissuta, in patria e all’estero, come una sorta di miracolo, ma dopo i risultati ottenuti negli anni questa visione “miracolista” merita di essere cambiata
Qualcuno si arrabbierà, lo metto in conto. Queste righe mi sono state suggerite da un appassionato di rugby, che si era meravigliato di non trovare nulla del sottoscritto (la cosa mi onora e non scherzo) dopo la bellissima vittoria degli azzurri nel VI Nazioni contro la Scozia. Premesso che La Ragione ne ha scritto all’istante a firma Nicola Sellitti (come ieri, dopo l’altro grandissimo pomeriggio in Galles), torno su questi ‘eventi’ stimolato da una dichiarazione del neo primo ministro scozzese Humza Yousaf.
L’ho letta a margine dell’intervista rilasciata 5-6 giorni fa a La Repubblica. Sulla sconfitta della sua squadra all’Olimpico, aveva dichiarato di essere stato ovviamente contrariato, ma molto felice di aver visto le lacrime di gioia dei giocatori azzurri, dello staff e di tanti tifosi. Belle parole, in perfetto stile rugbistico. Mi sono fermato a riflettere su quanto dichiarato – con le migliori intenzioni beninteso – dal Primo Ministro scozzese: una nostra vittoria nello sport della palla ovale viene vissuta in patria e all’estero sempre come una sorta di miracolo. Figuriamoci due di seguito. Se si batte l’Australia, se si rischia di battere la Francia o se si battono la Scozia e il Galles (dominando per 70 minuti su 80) non è solo festa grande, è commozione pura. Si urla all’impresa, qualcuno esagera e arriva al “miracolo”. Ecco, da chi al rugby è giunto tardi – correva il VI Nazioni del 2013 – francamente non ne posso più di tutto ciò.
Di questa visione miracolistica del nostro rugby, che merita di essere trattato meglio, per i risultati ottenuti negli anni, una crescita che ha vissuto sfibranti stop and go, ma che nell’insieme ha portato un movimento un tempo confinato in pochissime aree del paese a sapersi confrontare con le più forti squadre al mondo e a entrare nella top ten del ranking. Ho raccontato in diretta partite azzurre del VI Nazioni, urlato, usato immagini pittoresche e colorite, mi sono divertito come un matto e assecondato l’amore per l’esagerazione e l’epica, ma non vorrei più ricorrere all’eccezionalità. Come già detto all’”evento” o peggio ancora al “miracolo“. Basta miracoli, vogliamo vincere (come nelle ultime due settimane).
Di Fulvio Giuliani
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