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Marco Pantani, 20 anni dopo

20 anni dalla morte del “Pirata” Marco Pantani: l’ultima star maledetta dello sport italiano, la più controversa, carismatica, mediatica. Un ciclista, un poeta della bici
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Marco Pantani, 20 anni dopo

20 anni dalla morte del “Pirata” Marco Pantani: l’ultima star maledetta dello sport italiano, la più controversa, carismatica, mediatica. Un ciclista, un poeta della bici
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Marco Pantani, 20 anni dopo

20 anni dalla morte del “Pirata” Marco Pantani: l’ultima star maledetta dello sport italiano, la più controversa, carismatica, mediatica. Un ciclista, un poeta della bici
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20 anni dalla morte del “Pirata” Marco Pantani: l’ultima star maledetta dello sport italiano, la più controversa, carismatica, mediatica. Un ciclista, un poeta della bici
L’ultima star maledetta dello sport italiano. Sicuramente la più controversa, carismatica, mediatica. Un ciclista, un poeta della bici, una rockstar. Sono vent’anni che Marco Pantani è morto eppure il pensiero della generazione dai 40 anni in su si alza in piedi (sui pedali) correndo verso di lui, appena spunta in tv un piccolo cavalcavia al Giro d’Italia o al Tour de France. È arrivato a incollare 7 milioni di spettatori per una tappa della Grande Boucle con arrivo a Courchevel, una delle gemme d’archivio del Pirata che si prese il nostro cuore trent’anni fa sul Mortirolo e sull’Aprica e lo tenne in ostaggio quattro anni dopo dando nove minuti di distacco a Jan Ullrich sul Galibier e nel 2000 sul Mont Ventoux, staccando Lance Armstrong, il dio texano dalla frequenza di pedalata insostenibile. Fino alla sua morte, il giorno di San Valentino del 2004. A 34 anni. Manca come l’aria. Mica soltanto al ciclismo, che ha conosciuto poi altri campioni, soprattutto nelle gare di un giorno. Ma chi è stato davvero all’altezza di Pantani? Ai piedi della salita, via il cappellino, via la bandana: un gesto divenuto patrimonio collettivo, ripetuto nelle nostre corse in bici, persino nelle partite di calcetto. Come Russell Crowe che scatena l’inferno ne “Il Gladiatore”. Pantani ha scritto un romanzo popolare, ha sancito un patto con gli italiani. Era mediatico senza volerlo, carismatico parlando poco o nulla. Era tutto nei gesti, nella pedalata, nella sequenza interminabile di cadute e risalite, di infortuni, incidenti, gatti che tagliano la strada e furiose gesta senza tempo. Ha vinto Giro e Tour nello stesso anno (1998), ma resta la prova che lo sport sa andare oltre l’almanacco. Pantani come Senna, come Alì, come Diego Maradona e non è un caso che finisca nel girone dei ribelli, dei maledetti. Era un uomo che veniva dal mare (viene utile prendere in prestito Lucio Dalla, a proposito di fuoriclasse) di Cesenatico, ma con un legame unico con la montagna, con la salita: la strada più breve «per abbreviare l’agonia», spiegò al grande Gianni Mura.  Ci ha lasciato in un residence di Rimini, divorato dalla droga, dalla solitudine, dalla rabbia. Mai sapremo se a Madonna di Campiglio – al Giro che nel 1999 stava dominando e da cui fu allontanato per ematocrito alto – fu vittima di un disegno. Fu il primo passo verso l’abisso. Era convinto di essere la vittima di una macchinazione, è tornato al Tour l’anno dopo scrivendo due pagine leggendarie nel duello con Armstrong, poi si è lasciato andare. Dopo la morte, per un pezzo dell’opinione pubblica fu ritenuto un esempio negativo. Come sempre, il tempo passa e cancella. Di sicuro il Tour non ha dimenticato ‘il Pirata’. Nel ventennale della morte, la super ‘classica’ francese parte dal nostro Paese: la seconda tappa prenderà il via il 30 giugno proprio da Cesenatico. La casa di uno dei più grandi eroi popolari dello sport italiano. di Nicola Sellitti

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