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Mondiali senza gloria, le vittorie del 1934-1938

Vorremmo poter andare orgogliosi di quei due Mondiali ma non fu vera gloria. Perché la lettura doverosa del libro di Mari ci impone di ricordare quei misfatti
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Mondiali senza gloria, le vittorie del 1934-1938

Vorremmo poter andare orgogliosi di quei due Mondiali ma non fu vera gloria. Perché la lettura doverosa del libro di Mari ci impone di ricordare quei misfatti
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Mondiali senza gloria, le vittorie del 1934-1938

Vorremmo poter andare orgogliosi di quei due Mondiali ma non fu vera gloria. Perché la lettura doverosa del libro di Mari ci impone di ricordare quei misfatti
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Vorremmo poter andare orgogliosi di quei due Mondiali ma non fu vera gloria. Perché la lettura doverosa del libro di Mari ci impone di ricordare quei misfatti

La Francia non ha conquistato per la seconda volta consecutiva il titolo di Campione del Mondo. Un’impresa riuscita per la prima volta all’Italia nel 1934 e nel 1938. A ricordarci come davvero andarono le cose è Giovanni Mari, autore del saggio “Mondiali senza gloria” (People): un’opera rigorosa sul piano storico, scritta con lo stile scorrevole e accattivante del cronista di razza.

Il regime fascista riuscì ad assicurarsi l’organizzazione dei Mondiali del 1934 grazie a due armi formidabili: la garanzia che non sarebbero stati tollerati disordini o manifestazioni di dissenso (vi ricorda qualcosa?) e l’ospitalità a nostre spese di tutte le delegazioni partecipanti. Una grandiosa operazione di corruttela che replicammo sul piano sportivo tramite un fiume impetuoso di denaro, occultato nella contabilità generale e in grado di abbattere ogni resistenza: tramite i club, scippando con ricchi contratti alcuni dei più talentuosi giocatori sudamericani (violando le regole internazionali vennero subito schierati in Nazionale, essendo l’Italia autarchica disposta a reclutare “oriundi” dalle labili ascendenze nostrane); comprando il passaggio agli ottavi di finale con il ritiro della Grecia (in cambio della rinuncia alla partita di ritorno vennero versate 700mila dracme nelle esangui casse della federazione ellenica); pilotando con accortezza la definizione di un tabellone che fosse il più abbordabile possibile; corrompendo in maniera sfacciata gli arbitri, ventre molle del sistema in quanto dilettanti e senza stipendio.

Giocammo picchiando come fabbri (tanto più che all’epoca gli infortunati non potevano essere sostituiti); superando la Spagna in un sanguinoso doppio scontro (non esistendo ancora la regola dei rigori dopo i supplementari) soltanto grazie a nostri gol irregolari e all’annullamento per inesistenti fuorigioco di un paio di reti iberiche (nella seconda partita i nostri avversari scesero in campo con appena metà dei titolari, tra questi il formidabile portiere Zamora che si sedette in tribuna perché minacciato dagli scherani del duce); battendo l’Austria grazie alla complicità sfacciata dell’arbitro svedese Eklind – caldeggiato direttamente da Mussolini – che non volle vedere una doppia carica al portiere in occasione del nostro vantaggio e deviò “per caso” un assist a favore di un austriaco lanciato verso la porta azzurra, in tal modo guadagnandosi sul campo pure la direzione della finalissima con la Cecoslovacchia. Dopo un iniziale svantaggio, questa finì 2-1 ai supplementari anche grazie ai pronti riflessi dell’arbitro eterodiretto. Più che un trionfo sportivo fu un arrogante furto con scasso che suscitò polemiche aspre all’estero, tutte accuratamente censurate in patria.

Nel 1938 i Mondiali si tennero in Francia con defezioni importanti. A seguito dell’Anschluss i fortissimi calciatori austriaci erano stati assorbiti nella squadra tedesca (l’unico a rifiutarsi di giocare per la Germania nazista era stato il fuoriclasse Matthias Sindelar, che sei mesi dopo pagherà con la vita la sua opposizione a Hitler) mentre diversi Paesi si decisero al boicottaggio della manifestazione: Argentina, Uruguay e Perù perché era stata violata la promessa di disputare la Coppa Rimet al di là dell’Atlantico, l’Inghilterra per snobistico disinteresse e l’Unione Sovietica per sottovalutazione dell’evento. Mancava pure la Spagna, dilaniata dalla sanguinosa guerra civile.

Per la prima volta il detentore del titolo e il Paese ospitante erano ammessi di diritto alla fase finale: un bel vantaggio. Disegnato per 16 squadre, il campionato prevedeva l’eliminazione diretta dagli ottavi di finale. L’accoglienza riservata ai nostri campioni fu traumatica. A Marsiglia, nella gara di esordio contro la Norvegia (vinta 2-1 ai supplementari, dopo che l’arbitro nazista Beranek aveva senza motivo annullato agli scandinavi un gol decisivo nei tempi regolamentari), decine di migliaia di esuli italiani accolsero con incessanti bordate di fischi lo stolido saluto romano ostentato dai nostri calciatori. Nei quarti, giocati proprio contro la Francia e vinti con un brillante 3-1, a scatenare il pubblico di casa fu però la decisione provocatoria di schierare la squadra con una orrida casacca nera che portava nel petto il fascio littorio ricamato con bordi rossi. Una vergogna che fece storia, oggi dimenticata. Superato in semifinale il Brasile (2-1: il primo gol viziato da un vistoso fallo non sanzionato a un terzino carioca, il secondo grazie a un generoso rigore per atterramento di Piola), si arrivò alla finalissima con l’Ungheria. Ammoniti alla vigilia da un minaccioso telegramma di Mussolini – «Vincere o morire» – gli azzurri s’imposero per 4-2, frutto questa volta di un indiscutibile dominio sul campo.

Vorremmo poter andare orgogliosi di quei due Mondiali ma non fu vera gloria. Perché la lettura doverosa del libro di Mari ci impone di ricordare quei misfatti (sportivi e non) che oggi la nostra coscienza collettiva si ostina invece a rimuovere quale spiacevole parentesi.

di Vittorio Pezzuto

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