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La vera tregua olimpica. Dalle brutture

Alle Olimpiadi di Parigi si concentrano emozioni, valori, flash e immagini destinati a segnare chi abbia avuto la lungimiranza di riservarsi qualche ora di tv

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La vera tregua olimpica. Dalle brutture

Alle Olimpiadi di Parigi si concentrano emozioni, valori, flash e immagini destinati a segnare chi abbia avuto la lungimiranza di riservarsi qualche ora di tv

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La vera tregua olimpica. Dalle brutture

Alle Olimpiadi di Parigi si concentrano emozioni, valori, flash e immagini destinati a segnare chi abbia avuto la lungimiranza di riservarsi qualche ora di tv

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Alle Olimpiadi di Parigi si concentrano emozioni, valori, flash e immagini destinati a segnare chi abbia avuto la lungimiranza di riservarsi qualche ora di tv

Domenica d’estate. Per nulla pigra, in un mondo che a tratti sembra impazzito. Scosso sino alle fondamenta dalla brutale guerra d’aggressione russa all’Ucraina, che ha riportato le lancette dell’orologio collettivo indietro di un secolo. Da un altro conflitto dai mille rivoli che per l’ennesima volta rende incandescente e decisiva per le sorti del nostro mondo quell’immensa, sfortunata e turbolenta regione cui abbiamo dato il nome di Medio Oriente. Per sovrapprezzo, si agitano i fantasmi del crack borsistico, senza che nessuno possa dire di aver capito fino in fondo perché.
Altro che pigre domeniche d’agosto di una volta, insomma.

In quelle stesse ore, alle Olimpiadi di Parigi si concentrano
– per casualità ma anche per capacità di chi ha stilato i calendari – emozioni, valori, flash e immagini destinati a segnare chi abbia avuto la ventura o la lungimiranza di riservarsi qualche ora di tv e di smartphone per dare un’occhiata ai Giochi.

Altro che ‘tregua olimpica’ vanamente invocata ogni quattro anni da capi di Stato e di governo o da leader religiosi, regolarmente inascoltati in un’era che ha smarrito la civiltà morale che fu dei padri greci. Le Olimpiadi hanno offerto a milioni di persone la più entusiasmante e coinvolgente delle tregue possibili. Una tregua dall’attualità, dalla bestialità della guerra, dai dittatori, dai seminatori d’odio, dai fomentatori di conflitti. Dai pessimi profeti di un mondo che sappia trarre forza solo dalla contrapposizione sino all’odio e non dall’ammirazione e dall’empatia.

Prendete Novak Djokovic: di mestiere fa il tennista. Ultra milionario, uno dei volti più noti dell’orbe terracqueo. Forse il più forte tennista ogni epoca, di sicuro se leggiamo lo spaventoso palmarès. Ebbene, questo signore ormai 38enne, consumato nel fisico e in teoria senza più nulla da chiedere a sé stesso e allo sport a cui ha dedicato una vita, ha vinto in questa domenica di fantasmi e paure l’unico titolo che gli fosse sempre sfuggito: l’oro olimpico. L’unico.

Lo ha vinto per sé, per la sua famiglia, sopra ogni altra cosa per l’orgoglio del suo Paese. Quella Serbia che per i serbi è qualcosa in più e di diverso. Non senza esagerazioni e gravi errori in un passato del quale ovviamente il Djoker non ha alcuna responsabilità.

Vederlo tremante dopo aver vinto, incapace di trattenere un uragano di emozioni e lacrime, piangere senza ritegno fra le braccia della moglie, dei figli e della mamma è la più potente delle tregue che possa esistere. Come il travolgente sorriso di Sara Errani e Jasmine Paolini, il cui trionfo sarebbe un gravissimo errore iscrivere alla categoria dei ‘miracoli’.

Anche il lunedì non è stato per nulla male… La prima medaglia d’oro oro di sempre di una ginnasta azzurra fa scattare in piedi anche le statue. Almeno dovrebbe, in un Paese capace di misurare le imprese. O la partita dell’Italvolley, già persa un paio di volte, riacciuffata e vinta. Un paio d’ore senza pensare e respirare. Che figata.

di Fulvio Giuliani

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