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Paralimpiadi, una grande storia

Scriviamolo subito: alle Paralimpiadi le medaglie contano. Eccome se contano. E la loro è una storia antica, a lungo rimasta di nicchia

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Paralimpiadi, una grande storia

Scriviamolo subito: alle Paralimpiadi le medaglie contano. Eccome se contano. E la loro è una storia antica, a lungo rimasta di nicchia

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Paralimpiadi, una grande storia

Scriviamolo subito: alle Paralimpiadi le medaglie contano. Eccome se contano. E la loro è una storia antica, a lungo rimasta di nicchia

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Scriviamolo subito: alle Paralimpiadi le medaglie contano. Eccome se contano. E la loro è una storia antica, a lungo rimasta di nicchia

Scriviamolo subito: alle Paralimpiadi le medaglie contano. Eccome se contano. Nell’immaginario di qualcuno che non ha ben compreso la portata e il rilievo sociale del movimento paralimpico, l’importante – per dirla con il frainteso barone de Coubertin – sarebbe partecipare.
Invece la carica agonistica, la competitività spinta ai massimi livelli delle Paralimpiadi sono la più grande conquista.

Quantomeno pari all’intuizione originale, nel remoto 1948, di creare uno spazio sportivo ‘riservato’ alle persone portatrici di disabilità. Allora si pensava ai reduci di guerra, mentre i primi veri Giochi paralimpici risalgono proprio alla nostra Roma 1960: 400 partecipanti per 23 Paesi. Oggi sono 4.400 per 185 Nazioni. È esplosa anche l’attenzione mediatica, inizialmente grazie all’impegno di chi ne ha colto prima senso e valore, poi in una crescita impetuosa del movimento sportivo paralimpico. Parallela alla preziosa evoluzione della nostra società nel mondo delle disabilità.

È dunque una storia antica quella del movimento paralimpico, per lunghi decenni rimasto però in una nicchia. A tratti nascosto, certamente sopportato da chi riteneva che lo sport degli ‘handicappati’ andasse sì fatto ma certo non mostrato. È stato un percorso anche doloroso, punteggiato da deficit culturali di persone degnissime (lo ricordiamo in prima persona e con rammarico: non faremmo mai i nomi,ma ci furono anni in cui in diretta televisiva ci si chiese se avesse senso trasmettere e commentare una corsa di disabili). Non era ‘colpa’ loro: proprio non ci arrivavano.

Le Paralimpiadi che si chiudono oggi sono la punta di diamante, la copertina di un lavoro meraviglioso che milioni di persone portano avanti ogni giorno nel mondo, assicurando passo dopo passo una vita più piena a chi ha avuto meno alla nascita o si è trovato fortemente limitato per i più diversi accadimenti e incidenti della vita.

Dobbiamo tutti moltissimo a fenomenali personaggi come Bebe Vio, Alex Zanardi o al ‘romano de Roma’ Rigivan Ganeshamoorthy, appena assurto alla notorietà nazionale grazie ai suoi splendidi risultati ai Giochi nel lancio del disco e a una carica di simpatia umana irresistibile. A ciascuno di loro va un ‘grazie’, come alla splendida Nazionale italiana, ai tecnici, ai maestri, alle famiglie.

Non molti decenni fa nascondevamo, oggi ne facciamo un vanto: pensate al percorso che abbiamo saputo compiere e che siamo chiamati a continuare.

Il movimento paralimpico è ormai globale, ma è inutile far finta di non vedere differenze dolorose fra il mondo più ricco e il resto della Terra. Al netto delle prime dieci posizioni del medagliere di Parigi, che vedono una fortissima prevalenza dell’Europa e dell’Occidente (otto Paesi compresa una sontuosa Italia quinta, più Cina e Brasile), il mondo meno sviluppato rincorre.
Il divario nella qualità di vita delle persone diversamente abili fra il mondo più ricco – diciamolo, più occidentale – e quello in via di sviluppo resta spaventoso.

dii Fulvio Giuliani

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