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Rassegnati al collasso

Il calcio italiano ha perso talenti quando si sono moltiplicati i fallimenti di decine di squadre italiane. Se si vuole fare un passo in più occorre valutare (anche) come i giovanissimi vengono allevati dalle scuole di calcio.
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Rassegnati al collasso

Il calcio italiano ha perso talenti quando si sono moltiplicati i fallimenti di decine di squadre italiane. Se si vuole fare un passo in più occorre valutare (anche) come i giovanissimi vengono allevati dalle scuole di calcio.
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Rassegnati al collasso

Il calcio italiano ha perso talenti quando si sono moltiplicati i fallimenti di decine di squadre italiane. Se si vuole fare un passo in più occorre valutare (anche) come i giovanissimi vengono allevati dalle scuole di calcio.
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Il calcio italiano ha perso talenti quando si sono moltiplicati i fallimenti di decine di squadre italiane. Se si vuole fare un passo in più occorre valutare (anche) come i giovanissimi vengono allevati dalle scuole di calcio.

Dal lontano 2008 l’Italia viaggia nei fondali del calcio internazionale, abituandosi ai rimpianti per gli anni nei quali si viveva al di sopra delle proprie possibilità, senza costruire niente ma vivendo un eterno presente. Due mondiali disastrosi (2010 e 2014) e due nemmeno disputati (2018 e il prossimo) con tecnici diversi e illusioni arrivate da Europei più che dignitosi, conclusi con la finale raggiunta da Prandelli, un quarto di finale con Conte e la vittoria ottenuta con Mancini.

Dopo lo choc dell’eliminazione a San Siro contro la Svezia si era aperto un dibattito sulle dimissioni di Ventura e Tavecchio e si faceva riferimento alla straordinaria inconsistenza dell’impalcatura politica del nostro calcio. L’arrivo di Mancini ha portato gioco e risultati, più coraggio e una certa sfrontatezza ma i problemi, mentre si guardava solo ai risultati, tornavano a essere ignorati. Questa volta infatti è anche peggio perché sta rimanendo tutto immutato, senza dimissioni o polemiche eccessive. Al contrario assistiamo a riflessioni paludate, persino rassegnate, sullo stato del calcio italiano che contrastano con l’isterismo di quattro anni e mezzo prima.

Può darsi che la compostezza con la quale si sta affrontando la questione si riveli più efficace ma intanto vale la pena ricordare che il calcio italiano, anche a livello di club, per la prima volta nella sua storia non ottiene niente da 12 anni. Dopo la vittoria in Champions dell’Inter nel 2010 sono state raggiunte due finali dalla Juventus e una finale in Europa League ancora dall’Inter. Niente altro. Siamo anche un Paese anomalo nella gestione della vittoria: basti pensare che l’Italia del 1982, dopo il successo al Mondiale, perse in casa con la Svizzera in amichevole, venne eliminata malamente nelle qualificazioni agli Europei, riuscendo a pareggiare con Cipro e vincendo il ritorno solo a 10 minuti dalla fine.

Le ragioni del fallimento italiano di oggi però vengono da più parti. Il nostro calcio ha perso talenti quando si sono moltiplicati i fallimenti di decine di squadre italiane, dalle quali provenivano centinaia di giovani interessanti che rappresentavano le arterie per la serie A. La nostra Lega Calcio ha rappresentanti che discutono e polemizzano tra loro, le società sono indebitate, eppure una legge sugli stadi di proprietà non è nemmeno più in discussione. Il nostro calcio è pieno di politica ma non ne ha una di riferimento. I giovani italiani a vent’anni vengono quotati a cifre eccessive, mentre la scelta per gli stranieri è più vasta e con costi più bassi, anche grazie al Decreto crescita. Questo implica che giocatori potenzialmente forti restino in squadre che non fanno nemmeno le coppe, come accade al Sassuolo dove Berardi, Scamacca, Raspadori e Frattesi (per citarne alcuni) piacciono ai grandi club ma restano dove sono per i costi proibitivi del loro cartellino.

Se si vuole fare un passaggio in più sarebbe opportuno valutare come i giovanissimi vengono allevati dalle scuole calcio ma sarebbe già tanto iniziare a risolvere i problemi con delle soluzioni articolate, destinate a durare nel tempo, invece che con le solite pezze.

di Lapo De Carlo

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