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La rovesciata di Ranocchia è il simbolo della resilienza

Negli ottavi di finale di Coppa Italia tra Inter ed Empoli, il difensore nerazzurro Andrea Ranocchia ha portato la squadra ai supplementari con un fantastico gol in semirovesciata al 91’. L’adulazione nei suoi confronti è stata senza limiti, ma fino a pochi secondi prima era un ‘bidone’.
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La rovesciata di Ranocchia è il simbolo della resilienza

Negli ottavi di finale di Coppa Italia tra Inter ed Empoli, il difensore nerazzurro Andrea Ranocchia ha portato la squadra ai supplementari con un fantastico gol in semirovesciata al 91’. L’adulazione nei suoi confronti è stata senza limiti, ma fino a pochi secondi prima era un ‘bidone’.
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La rovesciata di Ranocchia è il simbolo della resilienza

Negli ottavi di finale di Coppa Italia tra Inter ed Empoli, il difensore nerazzurro Andrea Ranocchia ha portato la squadra ai supplementari con un fantastico gol in semirovesciata al 91’. L’adulazione nei suoi confronti è stata senza limiti, ma fino a pochi secondi prima era un ‘bidone’.
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Negli ottavi di finale di Coppa Italia tra Inter ed Empoli, il difensore nerazzurro Andrea Ranocchia ha portato la squadra ai supplementari con un fantastico gol in semirovesciata al 91’. L’adulazione nei suoi confronti è stata senza limiti, ma fino a pochi secondi prima era un ‘bidone’.
Dal 2011 all’Inter, con in mezzo qualche brevissimo prestito, Andrea Ranocchia è stato per tante stagioni il principale bersaglio delle critiche dei tifosi nerazzurri. Prima di approdare a Milano, il difensore classe ‘88 era la grande promessa della difesa italiana insieme a Leonardo Bonucci, con cui difendeva il Bari degli anni d’oro, dall’estate del 2008 a quella del 2010, l’anno del Triplete nerazzurro. Dopo il superlativo piazzamento dei pugliesi, arrivati in decima posizione in Serie A, c’è stato per entrambi il salto di qualità: Bonucci alla Juventus, Ranocchia all’Inter, con un’importante differenza. Il primo arrivava in una squadra al termine della sua fase calante, che di lì a poco avrebbe inaugurato un lungo ciclo di vittorie, l’altro arrivava a Milano all’inizio di un lungo periodo di difficoltà, dopo l’apoteosi del Triplete. Con la stagione 2010-2011 inizia il declino dell’Inter di Moratti, che nel 2013 lascia la presidenza all’indonesiano Erick Thohir, per nulla esperto di calcio, ma grande esperto di affari, non a caso oggi Ministro delle imprese statali nel suo Paese. Nonostante gli importanti investimenti della nuova società, il momento buio dell’Inter è irreversibile e il primato nerazzurro diventa velocemente un lontano ricordo. In questi anni, anche per diversi errori sul campo, l’ex Bari diventa il capro espiatorio della tifoseria nerazzurra, profondamente delusa: la grande promessa è diventata il grande ‘bidone’.  Sui social non passa settimana senza che i tifosi mostrino l’avversione per le sue prestazioni. Per i tifosi Ranocchia diventa, un simbolo degli anni bui, un giocatore ormai irrecuperabile; per i tantissimi allenatori che si avvicendano sulla panchina dell’Inter, un silenzioso gregario. Nell’estate del 2020 è a un passo dal ritorno al Genoa, squadra dove è cresciuto, ma l’affare sfuma perché l’Inter non vuole regalare un giocatore che ritiene un’ottima riserva. E il campo dà ragione ai nerazzurri.  Dopo gli anni bui, il progetto Suning, iniziato nel 2016, spicca il volo e l’Inter torna ad alzare lo Scudetto nella stagione 2020-2021, con Antonio Conte in panchina, l’allenatore che aveva lanciato Ranocchia al Bari. All’inizio di quella stagione, il difensore spiega: “Se fossi andato altrove avrei giocato di più, ma la mia dedizione all’Inter l’ho sempre dimostrata. Giocare con questi colori vale la pena attendere, è un piacere. Per me l’importante è migliorarmi durante la settimana e farmi trovare pronto”. E pronto si fa sempre trovare. Tanto che il giudizio della gente si scontra con la realtà ogni volta che il numero 13 viene chiamato in causa: le sue prestazioni sono ineccepibili, sorprendenti per i tifosi, non per gli addetti ai lavori che parlano di lui come di una grande professionista e grande uomo squadra. Sembrano frasi fatte, ma non lo sono. Forse i giudizi affrettati dei non esperti pungono tanto ma c’azzeccano poco. Oggi eroe, domani ‘bidone’: non funziona così, c’è sempre una via di mezzo, spesso troppo scomoda da percorrere. Eppure la rivalsa di Ranocchia non è figlia del momento, del gesto tecnico o del caso. Nella sua gloriosa semirovesciata, che ricorda il logo delle figurine Panini, ci sono gli anni di lavoro duro e costante, quello fatto a telecamere spente che la gente non vede mai ma che riesce a pagare sempre. Ce ne dovremmo ricordare, della facilità dei nostri giudizi, anche al di fuori del campo e anche quando si parla del clamoroso errore dell’arbitro Serra in Milan-Spezia. Anzi, va sottolineato come l’AIA non sia esente da colpe nell’affidare una partita del Milan a San Siro ad un arbitro con una sola esperienza nella massima serie. È giusto che per un po’ non arbitri match di Serie A, non è giusto considerarlo un arbitro finito. La lezione di Andrea Ranocchia non va dimenticata. di Giovanni Palmisano

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