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Ryder Cup: l’Europa è green

La Ryder Cup fa la storia per diversi motivi: per l’eleganza e la complessità del golf e per il fatto di mettere in scena la storica sfida tra Usa ed Europa
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Ryder Cup: l’Europa è green

La Ryder Cup fa la storia per diversi motivi: per l’eleganza e la complessità del golf e per il fatto di mettere in scena la storica sfida tra Usa ed Europa
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Ryder Cup: l’Europa è green

La Ryder Cup fa la storia per diversi motivi: per l’eleganza e la complessità del golf e per il fatto di mettere in scena la storica sfida tra Usa ed Europa
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La Ryder Cup fa la storia per diversi motivi: per l’eleganza e la complessità del golf e per il fatto di mettere in scena la storica sfida tra Usa ed Europa
La Ryder Cup di golf fa storia a sé per tanti motivi. Restando alla tradizione di uno sport raffinato, complesso e ingiustamente considerato elitario in Paesi come il nostro, la Ryder è un unicum. Scatena passioni che ricordano molto più da vicino le curve degli stadi di calcio che gli eleganti e rarefatti club dei tornei Major. È una specie di ‘vacanza’ che il golf si concede una volta ogni due anni, consentendo agli appassionati di trasformarsi in tifosi degli Stati Uniti o dell’Europa per tre giorni. Non uno di più, ma in quelle 72 ore sembra veramente un altro sport. Almeno, un altro ambiente. Per capirci, è come se sul centrale di Wimbledon fossero consentiti i cori e l’uso dei tamburi. I tamburi alla Ryder Cup non ci sono, ma tutto il resto sì. Quest’anno sarà Roma – da venerdì a domenica – a ospitare per la prima volta la storica sfida fra i migliori golfisti statunitensi ed europei, arrivata alla 43esima edizione. Una straordinaria occasione di visibilità, business e diffusione di una disciplina ancora lontanissima dai numeri di praticanti di tutte le età regolarmente registrati negli Stati Uniti o in Gran Bretagna. L’altro elemento che rende la Ryder Cup inimitabile è ciò a cui abbiamo accennato: la storica sfida fra Usa ed Europa. Dal 1927 (anno della prima edizione) al 1971 giocarono soltanto golfisti statunitensi e della Gran Bretagna. Quindi, per equilibrare la sfida (con buona pace dell’orgoglio british, gli inglesi non riuscivano a tener botta e perdevano quasi sempre), dal 1973 furono ammessi gli irlandesi e dal 1979 tutti i giocatori europei. Il nocciolo della sfida della Ryder Cup è un caso senza repliche, perché in nessuno sport i Paesi europei accetterebbero di ‘ammainare’ la propria bandiera in favore di quella azzurra con le stelle dell’Ue. Nel golf sì e il tifo da cui siamo partiti non è per questo o quel golfista britannico, spagnolo o irlandese ma per gli europei. Una cosa del genere nel calcio è semplicemente inconcepibile. Nessuno oserebbe mai cancellare Italia-Germania, mentre la Champions League si avvia a diventare sempre più un maxi campionato europeo. Il titolo più prestigioso al mondo per squadre di club è quello di Campione d’Europa, appunto, ma a oggi è impensabile una formula diversa dalla sfida fra il meglio di ciascun Paese. Ulteriore particolarità – quasi un inno alla speranza di tornare sui passi di un errore storico – è la ‘permanenza’ del Regno Unito nella squadra europea chiamata a sfidare gli americani. La Brexit non è arrivata sui green della Ryder: la cosa non cambia il panorama generale ma lascia aperto uno spiraglio e ricorda – attraverso lo sport – l’ineluttabilità del destino europeo della gran Bretagna. Al momento, dobbiamo accontentarci di swing e putt, ma momenti migliori potranno tornare. di Fulvio Giuliani

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