Solo i serbi giocano con i russi
| Sport
Nessuna condanna da Belgrado all’invasione in Ucraina, dal basket al calcio, lo slogan è “Russi e serbi fratelli per sempre”. Quel rifiuto di condividere lo striscione No War fa parte della strategia.
Solo i serbi giocano con i russi
Nessuna condanna da Belgrado all’invasione in Ucraina, dal basket al calcio, lo slogan è “Russi e serbi fratelli per sempre”. Quel rifiuto di condividere lo striscione No War fa parte della strategia.
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Solo i serbi giocano con i russi
Nessuna condanna da Belgrado all’invasione in Ucraina, dal basket al calcio, lo slogan è “Russi e serbi fratelli per sempre”. Quel rifiuto di condividere lo striscione No War fa parte della strategia.
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Quel rifiuto di condividere lo striscione No War fa parte della strategia. I fischi del pubblico di Kaunas – partita contro lo Zalgiris in Eurolega, nella Lituania che ha rinunciato al gas russo – non hanno neppure sfiorato i cestisti della Stella Rossa. Dal basket al calcio, lo slogan è “Russi e serbi fratelli per sempre”. Nessuna condanna da Belgrado dell’invasione in Ucraina, pur sostenendo di rispettare l’integrità territoriale di Kiev che ai tempi non riconobbe l’indipendenza del Kosovo. Nessuna condanna sulla Crimea, otto anni fa. Lo sport segue la traccia della politica: nel derby di basket tra Stella Rossa (che mai ha messo in discussione la sponsorizzazione con Gazprom) e Partizan c’è stato lo sventolio di bandiere russe e di altre in cui convivono lo stemma russo e serbo. E così in Europa League sulle tribune del Marakanà, il celebre stadio della Stella Rossa, con coreografie ispirate alle guerre dei Paesi occidentali dell’area Nato, con esaltazione di quella comunanza di fondo, del panslavismo sull’asse Mosca-Belgrado, della fratellanza ortodossa.
Lo sport serbo è un megafono del risalto mediatico all’invasione russa in Ucraina. Una convinzione inscalfibile. Pure un santone del basket europeo come Zelimir Obradovic, coach del Partizan Belgrado, ha sottolineato che il fuoco della Nato sulla Serbia nel 1999 non si era preso la scena come l’Ucraina. Insomma, troppe attenzioni. Come se gli ammassi di civili nelle fosse comuni rientrassero nella grammatica ordinaria della guerra.
di Nicola Sellitti
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