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Storie olimpiche

L’argento di Silvana Maria Stanco nel tiro al volo e quello dei ragazzi del canottaggio nel 4 di coppia: storie di sport e di vita

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L’argento di Silvana Maria Stanco nel tiro al volo e quello dei ragazzi del canottaggio nel 4 di coppia: storie di sport e di vita

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L’argento di Silvana Maria Stanco nel tiro al volo e quello dei ragazzi del canottaggio nel 4 di coppia: storie di sport e di vita

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L’argento di Silvana Maria Stanco nel tiro al volo e quello dei ragazzi del canottaggio nel 4 di coppia: storie di sport e di vita

Come non restare incantati dalle storie che solo le Olimpiadi sanno narrare. Pensate alla prima medaglia d’oro di sempre del Guatemala, vinta ieri pomeriggio nella gara di tiro a volo nella “fossa olimpica”.

Adriana Ruano Oliva ha battuto un’azzurra, Silvana Maria Stanco, però non riusciamo a essere tristi per quest’oro sfumato. Innanzitutto perché la guatemalteca ha ampiamente meritato il successo inanellando una serie mostruosa in finale e poi perché entrambe le atlete hanno storie difficili e al contempo meravigliose da raccontare.

La Ruano Oliva – pensate – era una ginnasta e sfiorò la qualificazione alle Olimpiadi nell’artistica. Poi un terribile infortunio, con gravi conseguenze alla schiena, non solo la tenne lontana da attrezzi e pedane, ma mise in dubbio persino la possibilità che tornasse a camminare.
La fresca olimpionica, prima di sempre del Guatemala che esordì ai Giochi nel 1952, non si è arresa, si è votata al tiro a volo con risultati semplicemente eccezionali, fino alla gara quasi perfetta di ieri. Ha battuto la nostra Silvana Maria – dicevamo – che tre anni fa Tokyo arrivò ‘solo’ quinta soffrendo maledettamente per quel podio sfumato in una prestazione non degna delle sue capacità.

I grandi atleti restano donne e uomini in qualche misura simili a noi (almeno in parte) esseri “normali”. Lo sconforto e la depressione la conoscono anche i campioni, si pensi alla divina Simone Biles e a quello che passò ai Giochi di Tokyo. Silvana Maria Stanco ne è venuta fuori nel modo più bello, vincendo un’argento di raro valore. La sua assoluta modestia, quasi la vergogna di concedersi a telecamere e microfoni dopo il podio olimpico, sono uno dei motivi per cui ogni quattro anni ci perdiamo per due settimane in qualcosa di così sideralmente lontano e non di rado più apprezzabile dei tronfi dei di altri sport.

Come il poetico e commovente argento nel canottaggio del quattro di coppia: una medaglia che gli azzurri avevano promesso alla mamma di Filippo Mondelli, canottiere scomparso a 26 anni per un maledetto tumore mentre preparava le Olimpiadi di Tokyo proprio su questo nobile armo.
Al funerale era stata affidata loro la bandiera posata sulla bara di Filippo. Da allora non se ne separano mai e l’hanno portata sul meraviglioso podio olimpico di ieri. In piedi.

di Fulvio Giuliani

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