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Decreto sport

Un calcio all’indipendenza

Il Consiglio dei Ministri avrebbe dovuto approvare oggi un decreto legge dalla storica sottrazione di autonomia al mondo dello sport e del calcio in particolare

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Un calcio all’indipendenza

Il Consiglio dei Ministri avrebbe dovuto approvare oggi un decreto legge dalla storica sottrazione di autonomia al mondo dello sport e del calcio in particolare

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Un calcio all’indipendenza

Il Consiglio dei Ministri avrebbe dovuto approvare oggi un decreto legge dalla storica sottrazione di autonomia al mondo dello sport e del calcio in particolare

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Il Consiglio dei Ministri avrebbe dovuto approvare oggi un decreto legge dalla storica sottrazione di autonomia al mondo dello sport e del calcio in particolare

L’idea del governo – accantonata non si sa per quanto tempo – della creazione di un organismo incaricato di controllare i bilanci dei club professionistici di calcio e basket sembra essere oggettivamente nata sotto una cattiva stella. Tempi ristrettissimi, la decisione di procedere con un decreto legge (dunque immediatamente operativo) che il Consiglio dei Ministri avrebbe dovuto approvare oggi e su tutto la sensazione di una storica sottrazione di autonomia al mondo dello sport e del pallone in modo particolare.

Scontatissima la reazione negativa dei vertici della Federcalcio e dello stesso Coni, con i rispettivi presidenti Gravina e Malagó furiosi con il ministro competente Abodi per modi, tempi e sostanza.
Lo stop deciso dall’esecutivo (anche se temporaneo, almeno in teoria) è lì a testimoniare che qualcosa non è stato fatto per il verso giusto. Eufemismo. Non vorremmo, al contempo, che si osservasse con ansia il dito dimenticando la luna: tanto per cominciare un organismo incaricato di sovrintendere ai bilanci delle società calcistiche esiste già, la Covisoc. Il governo, in sostanza, sembra dire al calcio (e al basket): “Non siete in grado di garantire i conti e la regolarità dei campionati e quindi interveniamo”. Ecco spiegato il terrore del mondo sportivo di vedersi commissariato dalla politica.

Paura anche condivisibile, ma allo stesso tempo va sottolineato almeno con uguale energia che l’andazzo finanziario dei club calcistici in Italia è da tempo a metà strada fra una sciagura e una barzelletta. L’immagine più adeguata è quella di un gruviera o un burrone, fate voi. Questo è un fatto che non può essere nascosto sotto la baraonda di un intervento frettoloso e irrituale quanto si vuole: il calcio italiano ha ampiamente dimostrato di non sapersi gestire, di vivere molto al di sopra delle proprie possibilità, salvo chiedere costanti aiuti in forma di fiscalità agevolata o altro al governo. Fare ora quelli che strepitano per l’attacco all’indipendenza risulta ipocrita, nella migliore dell’ipotesi.

È un giocattolo che non sta in piedi, con un numero sorprendentemente alto di società con i conti impazziti e tenute in vita esclusivamente dall’apporto dei diritti televisivi e talvolta da spericolate operazioni di mercato. Offendiamoci pure, insomma, perché il governo si è mosso un po’ come l’elefante nel famoso negozio di cristalleria, ma cerchiamo di non dimenticare che finanziariamente il calcio italiano resta con poche eccezioni del tutto insostenibile.

Di Fulvio Giuliani

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