Vince, ride poco, è deluso dai colleghi: il peso del caso doping su Sinner
Dopo il caso doping, Sinner è diverso: più serioso e con un linguaggio del corpo che rivela uno stato di tensione continua
Vince, ride poco, è deluso dai colleghi: il peso del caso doping su Sinner
Dopo il caso doping, Sinner è diverso: più serioso e con un linguaggio del corpo che rivela uno stato di tensione continua
Vince, ride poco, è deluso dai colleghi: il peso del caso doping su Sinner
Dopo il caso doping, Sinner è diverso: più serioso e con un linguaggio del corpo che rivela uno stato di tensione continua
Dopo il caso doping, Sinner è diverso: più serioso e con un linguaggio del corpo che rivela uno stato di tensione continua
Jannik era un bambino quando 13 anni fa José Mourinho parlava del “rumore dei nemici”, ma ora è una sensazione che avverte anche lui. E non ci è abituato. L’ormai celebre e mediatica questione del clostebol, il farmaco utilizzato dal suo ex fisioterapista che ha provocato – come dimostrato dall’indagine ITIA – la doppia positività del numero uno al mondo, scagionato due settimane fa dall’agenzia antidoping per “assunzione inconsapevole”, lo sta inevitabilmente condizionando allo Us Open.
E’ un altro Sinner: più serioso che serio, con un linguaggio del corpo che rivela uno stato di tensione continua. Lo si è visto nel primo turno con lo statunitense McDonald, dove l’italiano per oltre un’ora si è mostrato scarico, molle, poco concentrato, perennemente sudato, per poi riprendersi e vincere facilmente la partita. Ma il peggio deve essere la vita negli spogliatoi: Sinner ha fatto intendere che il clima non è dei migliori e che c’è qualcosa, anche di più, da chiarire con qualche collega. In pochi lo hanno appoggiato pubblicamente. Altri top player – Djokovic e Alcaraz – si sono invece espressi in politichese, mentre altri – come Kyrgios e Shapovalov – continuano a sparare palle incatenate sulla difformità di trattamento riservata a Sinner rispetto a colleghi come l’inglese Halep, squalificata per 18 mesi per un caso di assunzione involontaria di doping. Passa sottotraccia la differenza di fondo tra le due situazioni: nel caso-Sinner si è risaliti immediatamente al farmaco incriminato, per la tennista inglese c’è invece voluto tempo e risorse ma non emergeva quale fosse la sostanza dopante, così è scattata la squalifica ed è esploso il caso mediatico.
Jannik si trova in una zona d’ombra. E’ pulito, non è colpevole, si sarebbe anche liberato da un peso che l’ha tormentato nelle scorse settimane, ma si moltiplicano i “ma”, i distinguo. Gli applausi convinti sulle tribune sono diventati più tiepidi. E lui sembra, almeno per il momento, aver perduto quel tratto di genuinità, soprattutto di leggerezza che ha segnato la sua corsa al vertice mondiale. Il peso psicologico è un masso gigantesco da portare sulle spalle a Flushing Meadows. La sensazione è che – se potesse – Sinner sarebbe altrove: a rifiatare, prendere coscienza che il periodo buio è in realtà alle spalle. Invece, anche per onorare la sua prima posizione mondiale e per accontentare gli sponsor che hanno puntato forte su di lui, è “costretto” a giocare l’ultima delle quattro prove del Grand Slam, a pochissimi giorni dalla sua assoluzione. Difficilmente ci sarà un passo avanti dal punto di vista mentale a New York, sono sentimenti da metabolizzare, Sinner è solido certo, ma non un robot. Forse andrà meglio nelle prossime settimane, quando il caso inizierà a diradarsi. Nel frattempo magari Jannik andrà avanti nel torneo, vincendo pure come accaduto a Cincinnati, ma il sorriso tornerà solo più avanti. Sperando non sia persa per sempre quella leggerezza che lo rende diverso dagli altri.
Di Nicola Sellitti
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