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TikTok

Ban-demonio social

Gli Stati Uniti prossimi al possibile blocco di TikTok, l’Unione europea ci pensa. Il Grande Fratello ci sta guardando, ma è bene sapere che oggi ne esiste più di uno

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Gli Stati Uniti prossimi al possibile blocco di TikTok, l’Unione europea ci pensa. Il Grande Fratello ci sta guardando, ma è bene sapere che oggi ne esiste più di uno

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Gli Stati Uniti prossimi al possibile blocco di TikTok, l’Unione europea ci pensa. Il Grande Fratello ci sta guardando, ma è bene sapere che oggi ne esiste più di uno

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Gli Stati Uniti prossimi al possibile blocco di TikTok, l’Unione europea ci pensa. Il Grande Fratello ci sta guardando, ma è bene sapere che oggi ne esiste più di uno

Ultimo fu OnlyFans, da pochi giorni vietato in tutta la Cina (dove la pornografia di qualsiasi tipo è illegale e la maggior parte dei social condivide lo stesso destino). Ma non è solo una smania di Pechino. Gli Stati Uniti a gennaio sono prossimi a ricambiare con il blocco di TikTok – accusato di fornire dati sensibili al governo cinese – e l’Unione europea ragiona se fare altrettanto, soprattutto dopo il caso delle elezioni presidenziali in Romania annullate per le sospette ingerenze russe attraverso la piattaforma. L’Albania ha appena fatto lo stesso (sempre TikTok sul banco degli imputati) per tutelare «la sicurezza fisica e digitale dei nostri adolescenti». Per analoghe ragioni, l’Australia il mese scorso ha implementato uno storico ban all’accesso di qualunque social media da parte dei minori di 16 anni. Mentre il Regno Unito sta progressivamente riducendo l’uso di X come canale ufficiale dei funzionari pubblici. Si potrebbe andare avanti così, la lista è lunga e in continuo aggiornamento. Dopo oltre un decennio di crescita incontrollata, nella domanda e nell’offerta, i social rischiano di vedersi sottrarre grosse porzioni di pianeta dal loro bacino d’utenza altrimenti illimitato. Un vero e proprio ban-demonio globale.

Fra competizioni tecnologiche e geopolitica, l’effetto domino ormai non risparmia nessuno. Chi se la passa meglio è LinkedIn: inagibile soltanto in Cina. Poi viene X (fu Twitter), vietato in una serie di regimi più o meno autoritari: Russia, Nord Corea, Iran, Myanmar, Pakistan, Turkmenistan, Venezuela e di nuovo Pechino. Il gruppetto è all’incirca sovrapponibile con i Paesi in cui non sono autorizzati Facebook o Instagram. Curioso il caso del Brasile, che vieta il primo ma non il secondo, pur essendo entrambi sotto il marchio Meta. Mentre la Turchia quest’estate, per nove giorni, ha bloccato ogni accesso a Instagram: cartellino giallo per il futuro.

Fino a questo momento, ciò che balza all’occhio è la netta correlazione inversa fra censura social e livello di democrazia nel Paese in questione. Molte di queste restrizioni risalgono a diversi anni fa, praticamente sin dal lancio del social di turno. Ma ormai tale dinamica è sempre più complessa da riscontrare. E le recenti restrizioni a X e TikTok arrivano soprattutto da Occidente. La differenza è che nel frattempo anche i social si sono evoluti. Sempre più capillari, sempre più totalizzanti nel loro ruolo di (dis)informazione alternativa: se anche le più stabili democrazie stanno arrivando a considerare forme di censura, non è una sconfitta per le medesime ma il sentore di un pericolo concreto. Perché riguardo a controlli interni, fake news, odio online, la legislazione spesso si ritrova a inseguire. E gli effetti reali intanto divampano, fra le rivolte sociali riversatesi dall’app alla strada (è accaduto in Francia, Olanda, Inghilterra) e le infiltrazioni multidimensionali perpetrate dalle dittature rivali.

La situazione coinvolge anche i servizi di messaggistica: il russo Telegram è bandito nella pubblica amministrazione norvegese ed è sotto crescente pressione in Germania e Regno Unito, mentre l’americano WhatsApp è vietato in Qatar, Emirati Arabi Uniti, Siria e Nord Corea (oltre all’immancabile Cina). Sembra dunque profilarsi una sorta di ‘corsa ai social’, sempre più gigantesche armi di soft power. Quasi nel solco della tattica da Guerra fredda: quali inseguire, da quali tutelarsi, ciascuna da monitorare. Se è vero – privacy alla mano – che il Grande Fratello ci sta guardando, è bene sapere che oggi ce n’è più di uno. E da Musk a Zuck, non sono tutti uguali.

Di Francesco Gottardi

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