ChatGTP il dilemma dell’intelligenza artificiale
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Intelligenza artificiale: il prototipo ChatGTP, prodotto da OpenAI, non è una novità ma un’innovazione nell’innovazione
ChatGTP il dilemma dell’intelligenza artificiale
Intelligenza artificiale: il prototipo ChatGTP, prodotto da OpenAI, non è una novità ma un’innovazione nell’innovazione
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ChatGTP il dilemma dell’intelligenza artificiale
Intelligenza artificiale: il prototipo ChatGTP, prodotto da OpenAI, non è una novità ma un’innovazione nell’innovazione
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AUTORE: Giancristiano Desiderio
L’intelligenza artificiale del prototipo ChatGTP prodotto da OpenAI è percepita o come una minaccia o come una salvezza. Naturalmente, non è né l’una né l’altra. I catastrofisti sono dei luddisti e dei paranoici post-democratici: ritengono che l’intelligenza delle macchine non solo toglierà all’uomo il lavoro ma prenderà anche il potere sull’umanità. Gli ottimisti immaginano un mondo nuovo in cui gli uomini saranno salvi dalla maledizione biblica di dover campare con il sudore della fronte, sarà tre volte Natale e festa tutto l’anno.
Quando viene al mondo qualcosa di nuovo si formano quasi sempre due fazioni tra loro opposte, un po’ come il Settecento e l’Ottocento nella celebre ode di don Lisander (sul tema dei catastrofisti e degli ottimisti si veda il saggio di Daniele Demarco “La sfida dell’innovazione. Una filosofia digitale come narrazione unificata del nostro tempo” nella rivista “Estetica” ora edita da Il Mulino). Ma poi, siamo sicuri che si tratti davvero di una grande novità?
Certo, questa nuova macchina cervellotica risponde alle vostre domande (se gliele volete rivolgere), risolve equazioni matematiche, traduce, riassume, scrive. Sembra fatta apposta per chi non vuole studiare o non ha tempo da investire negli studi e su sé stesso. Tuttavia, ChatGTP – e i suoi fratellini che presto arriveranno – non è una novità. Semmai è l’innovazione di un’innovazione, è l’aggiornamento dei più “tradizionali” motori di ricerca che già usiamo con i computer e i telefonini. Senz’altro è più sofisticato e adatto a più operazioni, ma da qui a ritenere che sostituisca l’intelligenza umana o “naturale” è come fare un salto dal mondo della necessità al regno della grazia.
L’intelligenza artificiale è la tecnologia del computer che ha mutato la conoscenza in informazione che, a sua volta, è archiviata ed elaborata in grandi database: il sapere così confezionato diventa un prodotto commerciale. Queste cose le disse già alla fine degli anni Settanta Jean-François Lyotard nel suo studio “La condizione postmoderna: rapporto sul sapere”. Noi più che cogliere l’intelligenza artificiale dovremmo comprendere l’intelligenza di Lyotard e capire che il sapere in scatolette si giudica per il suo valore commerciale e non per la sua verità. A conferma del fatto, come ripeteva il signor Hegel, che la fatica del concetto non è né delegabile né surrogabile. Da questo “punto di vista” – che sarebbe poi quello dell’autocoscienza – l’intelligenza artificiale non è l’intelligenza umana ma un suo prodotto o una sua sezione che non potrà rimpiazzare né la fatica di pensare né l’esigenza di governare secondo libertà, a meno che gli uomini non preferiranno, come spesso accade, le tenebre e la schiavitù volontaria.
C’è poi un’altra considerazione: l’intelligenza artificiale non è erotica. È tutta cervello, ma il cervello senza piacere e dolore, passione e desiderio, bellezza e disgusto, bene e male è incapace di intendere e di volere, mentre noi nella nostra condizione umana – che è insieme antica, moderna e postmoderna – desideriamo proprio far questo: pensare e agire, controllare e abbandonare per scegliere e vivere liberamente. Noi siamo degli esseri bisognosi perché siamo degli esseri desideranti e questa condizione è la nostra croce e la nostra delizia che nessuna macchina può “risolvere” perché le macchine non desiderano e non godono, non soffrono e non amano, non ammirano e non giudicano ma si limitano, ben più dell’umano, a fare il giro della loro prigione, come diceva Marguerite Yourcenar. Tutto sta a non cambiare prigione.
Di Giancristiano Desiderio
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