Giappone, a scuola i robot al posto degli alunni
Giappone, a scuola i robot al posto degli alunni
Giappone, a scuola i robot al posto degli alunni
Dal prossimo novembre gli alunni più giovani della città di Kumamoto, nel Giappone occidentale, potranno mandare a scuola un robot al posto loro. Per quanto eccentrica o futuristica possa apparire, la realtà di una scuola per procura cibernetica merita di essere saggiata per due motivi.
Il primo è collegato alla drammatica piaga giapponese dei futoko, bambini e adolescenti che si rifiutano di andare a scuola, fino al definitivo abbandono, per problemi di ansia, disabilità, disagi psicologici. Non a caso il primo settembre, che segna la ripresa dell’anno di studi, è statisticamente il giorno dell’anno che registra nel Paese il maggior tasso di suicidi giovanili, anche di alunni elementari. A Kumamoto negli ultimi quattro anni il tasso di abbandono scolastico è raddoppiato e – visto il fallimento della didattica a distanza, praticata con ‘normali’ piattaforme online – si è dunque deciso di esplorare una nuova opzione. Per i funzionari scolastici, rispetto alle tradizionali aule virtuali, gli androidi offrono maggiore capacità di ingaggio (una sorta di ‘gamificazione’ dell’esperienza scolastica) e possono agevolare, quasi fossero dei mediatori sociali, un rientro ‘morbido’ fra coetanei in carne e ossa.
E qui si arriva alla seconda ragione per cui l’esperimento è meritevole di attenzione. Gli studi scientifici attestano già il valore del cosiddetto Rscl (Robot Supported Collaborative Learning, l’apprendimento supportato da automi) in alcuni contesti. I robot possono affidare compiti a gruppi ristretti di alunni e scadenzarne lo svolgimento, stimolare l’interazione ma soprattutto aiutare persone con specifiche necessità attraverso percorsi personalizzati. I robot di Kumamoto, soprannominati Classroomba, saranno alti circa un metro, fissati su una pedana rotante e manovrati da tablet, così da permettere agli studenti di muoversi liberamente nello spazio in tempo reale.
Anche negli Stati Uniti, durante la pandemia di Covid, adolescenti con disabilità hanno potuto mantenere un contatto con la classe grazie alla ‘telepresenza’. Leggere le loro testimonianze è commovente. Il mondo corre veloce: spetta alla scuola spalancarne le porte e far affamare di futuro anche l’ultimo degli adolescenti. Spesso non riesce, affaticata da un sistema arrugginito. Che ce la faccia un robot oggi è già più di una scommessa. Ma è difficile immaginare, per gli anni a venire e per certi quartieri italiani preda della dispersione scolastica, case con connessioni wi-fi tirate a lucido e animate da sorridenti robot di Stato.
di Nicoletta Prandi
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