Google Sge: il falso che genera il falso
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A breve potremmo dire addio alla modalità di ricerca online tradizionale. A sostituirla sarà una sintesi creata dall’intelligenza artificiale. Quali conseguenze?

Google Sge: il falso che genera il falso
A breve potremmo dire addio alla modalità di ricerca online tradizionale. A sostituirla sarà una sintesi creata dall’intelligenza artificiale. Quali conseguenze?
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Google Sge: il falso che genera il falso
A breve potremmo dire addio alla modalità di ricerca online tradizionale. A sostituirla sarà una sintesi creata dall’intelligenza artificiale. Quali conseguenze?
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AUTORE: Nicoletta Prandi
Sulla nostra esperienza di navigazione online sta per abbattersi un ciclone chiamato Sge (Search Generative Experience), l’innovazione cui sta lavorando Google. A breve potremmo dire addio alla modalità di ricerca tradizionale, con cui inseriamo nella barra di ricerca le parole chiave per ottenere un elenco di risultati cliccabili. A sostituirli sarà una sintesi di contenuti scelti e scritti da un sistema di intelligenza artificiale. Fra il nostro fabbisogno informativo e la realtà, insomma, si frapporrà un diaframma sintetico. Con quali conseguenze? Gli addetti ai lavori ne hanno, per ora, individuate tre.
La prima riguarda la veridicità dei contenuti proposti: quanto più pubblichiamo online testi o immagini prodotti con software di intelligenza artificiale (un esempio è ChatGpt), tanto più sommergiamo il web di informazioni del tutto false o vere solo in parte. Un esempio: lo scorso maggio, per due volte, è apparsa come primo risultato di ricerca su Google un’immagine di “Ragazza con l’orecchino di perla” – il celebre dipinto di Vermeer – modificata con un’app di intelligenza artificiale, senza che fosse specificato. Il sistema Sge metterà a serio rischio l’attendibilità dei risultati di ricerca, poiché attingerà a un bacino di fonti in cui vero e falso saranno sempre più fusi in un magma indistinguibile.
La seconda conseguenza è che gli utenti, con buona probabilità, tenderanno ad accontentarsi dei risultati offerti dal ‘filtro artificiale’, senza premurarsi di verificare se siano veri o meno e, soprattutto, senza mai approdare ai siti web originali. Se, per ipotesi, cerco una notizia, potrei accontentarmi della sintesi senza cliccare sul sito della testata. Questo porta direttamente alla terza conseguenza: cambieranno i metodi di monetizzazione, oggi basati sui click; le aziende dovranno perciò inventarsi nuovi modelli commerciali per trarre profitto dalla loro presenza online.
Google sta testando il sistema Sge presso un pubblico selezionato, soltanto negli Stati Uniti. Nel modulo di adesione al test, che durerà fino a dicembre, l’azienda ha messo nero su bianco le sue promesse, tra cui quella di «capire le cose più velocemente». La fretta è sempre stata una cattiva consigliera, lo sappiamo da tempo immemore. Eppure Google scommette sul fatto che presto ci porterà a dimenticarlo, intrappolati in una corsa contro il tempo del tutto illusoria in cui a rischiare di non tagliare il traguardo, al massimo, sarà soltanto il nostro raziocinio.
Di Nicoletta Prandi
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