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Homo Insapiens, la conferenza stampa dei robot

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Pochi giorni fa è andata in scena a Ginevra la prima conferenza stampa di robot umanoidi, “AI for Good”, organizzata dalle Nazioni Unite
La conferenza stampa dei robot

Homo Insapiens, la conferenza stampa dei robot

Pochi giorni fa è andata in scena a Ginevra la prima conferenza stampa di robot umanoidi, “AI for Good”, organizzata dalle Nazioni Unite
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Homo Insapiens, la conferenza stampa dei robot

Pochi giorni fa è andata in scena a Ginevra la prima conferenza stampa di robot umanoidi, “AI for Good”, organizzata dalle Nazioni Unite
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Pochi giorni fa è andata in scena a Ginevra la prima conferenza stampa di robot umanoidi, “AI for Good”, organizzata dalle Nazioni Unite per mostrare le migliori applicazioni tecnologiche di supporto a 17 obiettivi di sviluppo sostenibile. Nessuna testata si è persa la notizia: quando sul banco dei relatori siedono i robot e ad ascoltare è l’Homo Sapiens, l’occasione pare ghiotta. Non secondo i ricercatori che, a poche ore dalla pubblicazione dei primi titoli online, hanno iniziato a cinguettare su Twitter: «Gli scienziati che si occupano di intelligenza artificiale devono smetterla di prestarsi a giochi di ruolo e i giornalisti devono smettere di coprire queste specie di fiction come fossero notizie» ha scritto per esempio, seguita da altri, Emily Bender, direttrice del Laboratorio di Linguistica computazionale all’Università di Washington, conosciuta in tutto il mondo per l’espressione “pappagalli stocastici” (a indicare il modo in cui l’intelligenza artificiale scimmiotta il linguaggio umano senza comprendere alcunché). A ben guardare, la conferenza stampa un effetto distopico l’ha generato. Non quello evocato dagli androidi – fra cui Sophia (il primo robot ambasciatore Onu per l’innovazione) e Grace (l’automa infermiera più evoluta al mondo) – quanto, piuttosto, quello di forma e sostanza del format. Un dibattito in cui esseri umani e robot sono istituzionalmente posti sullo stesso piano, sotto l’egida delle Nazioni Unite, legittima l’equivalenza ontologica uomo-macchina. «Non proviamo emozioni, per questo siamo migliori di voi umani» ha risposto il robot ambasciatore a chi chiedeva della ipotetica migliore efficienza degli androidi in politica. D’altronde in questa era conta più un’immagine forte di mille parole scritte, sia mai che qualcuno ci creda, in preda ai fumi mistici della fascinazione da futuro. A metterci un carico da novanta sono poi arrivate le scelte linguistiche dei cronisti: si è letto che i robot hanno risposto «con pazienza» e hanno «rassicurato i presenti» sul fatto che non abbiano in programma di ribellarsi agli umani. Urge, invece, raccontare come il processo di costruzione dell’intelligenza artificiale integrata agli automi sia chiamato «apprendimento rinforzato da feedback umano» proprio perché è l’uomo a riprogrammare di continuo il funzionamento dei robot. Automi che, senza questo intervento costante, sarebbero soltanto scatole di latta. Prive di emozioni, come ha detto Sophia. Senza capire che questa, per noi, era invero la migliore delle notizie possibili.   di Nicoletta Prandi

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