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Il divieto dei social

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La proposta danese di vietare l’uso dei social network ai minori di 15 anni e di consentirlo a partire dai 13 anni soltanto con il consenso dei genitori è un gesto radicale, ma anche profondamente simbolico

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Il divieto dei social

La proposta danese di vietare l’uso dei social network ai minori di 15 anni e di consentirlo a partire dai 13 anni soltanto con il consenso dei genitori è un gesto radicale, ma anche profondamente simbolico

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Il divieto dei social

La proposta danese di vietare l’uso dei social network ai minori di 15 anni e di consentirlo a partire dai 13 anni soltanto con il consenso dei genitori è un gesto radicale, ma anche profondamente simbolico

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Alla premier danese Mette Frederiksen sono bastate poche parole per accendere un dibattito che va ben oltre i confini del suo Paese: «Abbiamo scatenato un mostro». La proposta di vietare l’uso dei social network ai minori di 15 anni e di consentirlo a partire dai 13 anni soltanto con il consenso dei genitori è un gesto radicale, ma anche profondamente simbolico. Secondo la leader socialdemocratica, un’intera generazione sta pagando il prezzo dell’iperconnessione: ansia, depressione, isolamento, perdita di concentrazione e una silenziosa dipendenza dall’immagine.

Non è un caso isolato. L’Australia ha già fissato a 16 anni l’età minima per l’accesso ai social. Le piattaforme digitali dovranno garantire controlli severi sull’età: sistemi di identificazione, verifiche automatiche, filtri che impediscano ai più piccoli di iscriversi. In Europa il vento soffia nella stessa direzione: in Spagna il governo Sánchez propone per esempio di alzare a 16 anni la soglia d’accesso, introducendo corsi di educazione digitale obbligatori nelle scuole. Nel Regno Unito l’Online Safety Act impone ai social di creare esperienze age appropriate (cioè adeguate all’età), con filtri e avvisi per i minori.

Misure diverse nate però da una consapevolezza comune: i social non sono più un passatempo, ma un ecosistema emotivo. E l’adolescenza, quella stagione fragile tra identità e sogno, si sta ridefinendo dietro uno schermo. 

Nel mondo c’è poi chi è andato ancora oltre. In Cina il controllo digitale è diventato un esperimento sociale. Gli adolescenti non possono restare online più di un’ora al giorno e devono farlo in orari prestabiliti. Il riconoscimento facciale registra ogni accesso, in una perfetta fusione fra protezione e sorveglianza. Una misura tanto efficace quanto inquietante, perché la linea fra tutela e controllo è sottile come un clic.

I risultati di queste iniziative sono però ambivalenti. In Australia il tempo trascorso online dai ragazzi è diminuito, ma sono nate nuove ‘app ombra’ difficili da monitorare. Nel Regno Unito alcuni genitori raccontano di figli più concentrati e sereni ma anche più isolati, tagliati fuori da quella socialità virtuale che, piaccia o no, è parte della vita quotidiana dei coetanei. Le politiche del divieto funzionano insomma solo se accompagnate da un’educazione digitale consapevole. Perché un adolescente che sa usare i social con senso critico è più libero di uno che li evita per obbligo.

Resta il nodo della fattibilità. Chiedere a Meta o a Google di verificare l’età degli utenti significa introdurre nuovi sistemi di riconoscimento, con tutti i rischi per la privacy che ne conseguono. E poi ci sono le diseguaglianze: chi ha più mezzi – o genitori più permissivi – troverà comunque una via d’accesso. Gli altri resteranno esclusi da uno spazio che, per quanto imperfetto, è anche luogo di espressione, creatività e comunità. La scelta danese va letta allora non soltanto come misura educativa, ma come atto politico.

Nessuna legge potrà sostituire la famiglia o la scuola. Ma la proposta è un invito collettivo a ridiscutere il nostro rapporto con la tecnologia, a ripensare il patto fra adulti e minori, fra libertà e responsabilità. Spegnere lo schermo non è un gesto nostalgico: è una forma di resistenza culturale. Significa restituire ai giovani la possibilità di annoiarsi, di guardarsi negli occhi, di ascoltare il silenzio. È un tentativo di rimettere la lentezza al centro, in un mondo che corre alla velocità delle notifiche.

Forse non si tratta di combattere un ‘mostro’, ma di imparare a conviverci senza esserne dominati. La sfida è questa: educare una generazione capace di abitare il digitale con intelligenza e misura. Perché la libertà – anche online – non nasce dal divieto, ma dalla consapevolezza di poter scegliere quando guardare e quando finalmente spegnere.

di Stefano Faina e Silvio Napolitano

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