La fine della “lista di link”. OpenAI punta al portafoglio di Google
Non è un aggiornamento, è un assedio. Mentre Google è impegnata a difendere il suo impero nelle aule di tribunale per le note vicende antitrust, OpenAI ha deciso di attaccarla dove fa più male: non sulla ricerca di informazioni, ma sulla ricerca di prodotti… dove girano i soldi veri
La fine della “lista di link”. OpenAI punta al portafoglio di Google
Non è un aggiornamento, è un assedio. Mentre Google è impegnata a difendere il suo impero nelle aule di tribunale per le note vicende antitrust, OpenAI ha deciso di attaccarla dove fa più male: non sulla ricerca di informazioni, ma sulla ricerca di prodotti… dove girano i soldi veri
La fine della “lista di link”. OpenAI punta al portafoglio di Google
Non è un aggiornamento, è un assedio. Mentre Google è impegnata a difendere il suo impero nelle aule di tribunale per le note vicende antitrust, OpenAI ha deciso di attaccarla dove fa più male: non sulla ricerca di informazioni, ma sulla ricerca di prodotti… dove girano i soldi veri
Non è un aggiornamento, è un assedio. Mentre Google è impegnata a difendere il suo impero nelle aule di tribunale per le note vicende antitrust, OpenAI ha deciso di attaccarla dove fa più male: non sulla ricerca di informazioni, ma sulla ricerca di prodotti. Ovvero, dove girano i soldi veri.
L’ultima mossa di Sam Altman trasforma ChatGPT in un personal shopper. La novità tecnica è semplice: invece di digitare una query e ricevere una lista di link (spesso intasati da pubblicità e SEO aggressiva), l’utente avvia una conversazione. Chiede, confronta, affina la ricerca. Ma la novità politica è dirompente. Si passa dal modello “Pagine Gialle” (io ti do l’elenco, tu scegli) al modello “Concierge” (io scelgo per te, tu compri).
La scelta di lanciare questa funzione ora non è casuale. Con un miliardo di ricerche settimanali dichiarate, OpenAI ha la massa critica per tentare il salto di qualità. Si parte da moda, elettronica e beauty: settori dove l’acquisto è spesso impulsivo o, al contrario, richiede lunghe comparazioni tecniche che l’IA sbriga in pochi secondi. Il messaggio implicito a Google è chiaro: il vostro modello di business, basato sull’interruzione pubblicitaria e sullo scorrimento infinito di pagine, è obsoleto.
OpenAI ci tiene a precisare un dettaglio fondamentale: al momento non ci sono commissioni né sponsorizzate. I consigli arrivano dal web, “puliti”. È la classica strategia della Silicon Valley: prima crei la dipendenza offrendo un servizio immacolato e superiore, poi — quando l’utente non sa più fare a meno del tuo “consigliere digitale” — inizi a monetizzare. Per ora, l’obiettivo è erodere la quota di mercato di Google Search, approfittando della sua debolezza strutturale e legale (con lo spettro della vendita forzata di Chrome che aleggia all’orizzonte).
Per le aziende e i brand, questo è un ulteriore campanello d’allarme. Fino a ieri, l’obiettivo era far apparire il proprio sito nella prima pagina di Google. Domani, l’obiettivo sarà convincere un algoritmo a citare il proprio prodotto nella risposta sintetica fornita all’utente. Se il centro commerciale del futuro non ha vetrine ma solo una chat, chi decide cosa vediamo? Non più chi paga l’annuncio più visibile, ma chi ha i dati migliori per nutrire l’intelligenza artificiale. La guerra dei motori di ricerca è finita; è iniziata quella degli assistenti all’acquisto. E Google, per la prima volta, rincorre.
di Luca Cavallini
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- Tag: tecnologia
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