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spazzatura elettronica

Tecnologia spazzatura

Un’ondata globale di spazzatura elettronica potrebbe invaderci nei prossimi anni. L’allarme lanciato dalla ricerca della Chinese Academy of Sciences e della Reichman University di Israele

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Un’ondata globale di spazzatura elettronica potrebbe invaderci nei prossimi anni. L’allarme lanciato dalla ricerca della Chinese Academy of Sciences e della Reichman University di Israele

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Un’ondata globale di spazzatura elettronica potrebbe invaderci nei prossimi anni. L’allarme lanciato dalla ricerca della Chinese Academy of Sciences e della Reichman University di Israele

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Un’ondata globale di spazzatura elettronica potrebbe invaderci nei prossimi anni. L’allarme lanciato dalla ricerca della Chinese Academy of Sciences e della Reichman University di Israele

Un’ondata globale di spazzatura elettronica potrebbe invaderci nei prossimi anni se non si adotteranno misure di contenimento più efficaci. È l’allarme lanciato da una ricerca (sottoposta a revisione paritaria) condotta da alcuni studiosi della Chinese Academy of Sciences e della Reichman University di Israele, pubblicata sulla rivista “Nature Computational Science”. Una volta ricostruiti e analizzati i flussi di produzione e dismissione dei materiali elettronici derivanti da apparecchiature più o meno ingombranti, dai pc ai data center, i ricercatori sono giunti a definire uno scenario allarmante per la salute dei cittadini e per l’ambiente. La spazzatura elettronica (e-waste) è uno dei flussi di rifiuti solidi a più rapida crescita nel mondo, come sancito da un rapporto dell’Organizzazione mondiale della Sanità dello scorso ottobre. Misurarla è persino difficile: buona parte di essa sfugge alle statistiche a causa dei canali di smaltimento illegali. Basti pensare che, dei 62 milioni di tonnellate che si stima siano state prodotte nel 2022, solo il 22,3% è stato documentato come formalmente raccolto e riciclato (fonte: E-waste Monitor 2024). Date queste premesse, il quadro tracciato dalla ricerca sino-israeliana è drammaticamente comprensibile. Stimando che le aziende cambino i propri processori in media ogni tre anni, i ricercatori hanno calcolato un accumulo potenziale di e-waste pari a cinque milioni di tonnellate nel periodo 2020-2030, con un incremento compreso fra il 3 e il 12% a causa della corsa tecnologica per la produzione di sistemi di intelligenza artificiale più potenti. Insomma, questi rifiuti extra equivalgono di fatto allo smaltimento di circa 13 miliardi di iPhone l’anno.

Esistono pochi studi strutturati sulla spazzatura elettronica, eppure i suoi potenziali effetti nocivi sono purtroppo noti da tempo. Ogni anno pc, elettrodomestici, apparecchi elettromedicali e componenti di data center sono smantellati con attività non idonee ed esportati attraverso canali illeciti, anche dall’Occidente, nei Paesi a basso reddito. In queste aree possono rappresentare una fonte di reddito, ecco perché spesso vengono smontati a mano per recuperarne dei pezzi, con modalità rischiose per la salute. Manipolare i rifiuti elettronici (ad esempio spezzarli, sminuzzare le pellicole di plastica che li rivestono o bruciarli all’aperto) è pericoloso. Possono rilasciare nell’ambiente fino a mille sostanze nocive – come i noti neurotossici piombo, mercurio e diossine – contaminando il suolo, la polvere e l’acqua nelle comunità vicine alle discariche e trasferendosi ad altre zone attraverso la trasmissione aerea. Bambini e donne, spesso coinvolti nelle attività di riciclaggio illegale di e-waste, sono i più esposti a questi rischi.

Quali soluzioni? La prima è promuovere una diversa cultura nelle aziende: spinte dalla competizione della potenza di calcolo, buttano via chip ancora funzionanti per sostituirli con altri nuovi di zecca. Inoltre, sarebbe utile rafforzare le modalità di controllo internazionale sul rispetto degli accordi in vigore e monitorare con maggiore costanza i siti di riciclaggio ufficiosi. Come ha titolato un articolo della “MIT Technology Review”, l’intelligenza artificiale e l’energia pulita hanno bisogno l’una dell’altra. Là dove esiste una seria urgenza di risolvere il tema dell’inquinamento ambientale, va vista anche l’opportunità per le aziende di sviluppare un nuovo set di soluzioni basate su innovative tecnologie pulite e, magari, anche su nuove strutture di mercato.

Di Nicoletta Prandi

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