Bruno Pontecorvo, da via Panisperna a Stalin
Bruno Pontecorvo è stato uno dei Ragazzi di via Panisperna, l’unico a scegliere poi l’altra parte della barricata: il blocco socialista
Bruno Pontecorvo, da via Panisperna a Stalin
Bruno Pontecorvo è stato uno dei Ragazzi di via Panisperna, l’unico a scegliere poi l’altra parte della barricata: il blocco socialista
Bruno Pontecorvo, da via Panisperna a Stalin
Bruno Pontecorvo è stato uno dei Ragazzi di via Panisperna, l’unico a scegliere poi l’altra parte della barricata: il blocco socialista
Bruno Pontecorvo è stato uno dei Ragazzi di via Panisperna, l’unico a scegliere poi l’altra parte della barricata: il blocco socialista
Aeroporto di Fiumicino, 1978. A bordo di uno dei voli in arrivo a Roma c’è un uomo di 65 anni che torna a mettere piede sul suolo italiano a oltre quarant’anni di distanza dall’ultima volta. Quel signore dall’aspetto distinto, con un leggero tremore alle mani figlio dei primi sintomi del morbo di Parkinson, non è una persona comune. Si chiama Bruno Pontecorvo. Negli anni Trenta del XX secolo è stato uno dei Ragazzi di via Panisperna. Lo straordinario gruppo di giovani scienziati guidato da Enrico Fermi che rivoluzionò il mondo della fisica nucleare con le proprie scoperte, fra cui la proprietà dei neutroni lenti per la quale lo stesso Fermi ricevette il Nobel nel 1938.
Facciamo un salto indietro nel tempo. Dopo il varo delle leggi razziali, con la guerra alle porte, l’équipe di Fermi si divide. Pontecorvo va a Parigi, per condurre degli studi con Frédéric Joliot. Nella capitale francese il giovane fisico italiano, oltre a lavorare alacremente, trova anche il tempo per coltivare due passioni: la prima è per una studentessa svedese di nome Marianne Nordblom, la seconda è per le ideologie marxiste. Quando in città arrivano i nazisti, Pontecorvo vola in America.
Lì ritrova altri componenti del gruppo di via Panisperna, fra i quali lo stesso Fermi ed Emilio Segrè (che vincerà il Nobel nel 1959). Sono lì mentre il governo americano sta dando il via al “Progetto Manhattan” che, partendo proprio dagli studi a cui Pontecorvo aveva partecipato, porterà poi alla creazione della bomba atomica. Ma il giovane scienziato italiano, le cui simpatie socialiste sono ben note, non viene ritenuto idoneo a prendervi parte.
Poco importa, perché Pontecorvo è comunque molto richiesto. Va in Canada e poi in Inghilterra, a Liverpool. E da qui, una mattina del 1950, fa perdere le sue tracce. Ma a differenza del suo ex sodale Ettore Majorana, sulla cui sorte aleggia tuttora il mistero, la fuga di Pontecorvo ha una meta ben precisa: l’Unione Sovietica, raggiunta dopo un breve passaggio in Finlandia. Qui si apre una pagina sulla quale si è romanzato a lungo. Anche perché lui è l’unico, fra i componenti del team che aveva affiancato Fermi, a scegliere l’altra parte della barricata: il blocco socialista. I motivi resteranno sempre in parte oscuri, anche per volontà del diretto interessato.
Il giudizio su quel periodo della sua vita oscillerà fra chi lo bollerà come un traditore e chi invece lo riterrà fondamentale nel riequilibrio dei rapporti di forza fra Stati Uniti e Urss, anche in virtù della potenza nucleare in mano agli americani. Un’altra corrente di pensiero assocerà la sua fuga alla causa legale fra i Ragazzi di via Panisperna e il governo americano per l’utilizzo del brevetto da cui si estrasse il principio per la realizzazione della bomba nucleare. Un’azione per la quale Pontecorvo temeva ritorsioni.
Ma più probabilmente (e romanticamente) la sua fu una scelta figlia delle proprie convinzioni ideologiche a cui aveva deciso di restare fedele. Anche se, come confessò in un incontro a Erice con Antonio Zichichi, potendo tornare indietro nel tempo forse avrebbe agito in maniera differente. Nonostante tutto, quel periodo trascorso all’ombra del regime di Stalin non intaccò la sua autorevolezza scientifica, la cui eredità sopravvive ancora oggi. La verità sulla sua storia è invece andata via con lui il 24 settembre 1993 a Dubna, in Russia. Lì dove era giusto che il suo enigma restasse per sempre.
Di Stefano Faina e Silvio Napolitano
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