Chi si ferma è perduto. O forse no?
“Chi si ferma è perduto” è un detto che ciascuno di noi conosce, sin da bambino. Non tutti sanno però che questa frase è famosissima soprattutto nella cultura occidentale; in altre si usa dire “chi non si ferma è perduto”.
Chi si ferma è perduto. O forse no?
“Chi si ferma è perduto” è un detto che ciascuno di noi conosce, sin da bambino. Non tutti sanno però che questa frase è famosissima soprattutto nella cultura occidentale; in altre si usa dire “chi non si ferma è perduto”.
Chi si ferma è perduto. O forse no?
“Chi si ferma è perduto” è un detto che ciascuno di noi conosce, sin da bambino. Non tutti sanno però che questa frase è famosissima soprattutto nella cultura occidentale; in altre si usa dire “chi non si ferma è perduto”.
“Chi si ferma è perduto” è un detto che ciascuno di noi conosce, sin da bambino. Non tutti sanno però che questa frase è famosissima soprattutto nella cultura occidentale; in altre si usa dire “chi non si ferma è perduto”.
C’è bisogno della via di mezzo, forse, perché solo con l’equilibrio si può andare avanti.
È capitato a tutti noi di avere almeno una battuta d’arresto, un momento difficile in cui ci siamo sentiti bloccati.
Un evento che sicuramente ha cambiato la nostra quotidianità è stato il COVID-19.
L’arrivo del virus in Italia ha stravolto la mia vita di giovane studente; la conseguenza che più mi ha colpito è stata il dover restare fermo.
Ero quasi alla conclusione del mio percorso di studi in Scienze della comunicazione a Bergamo, luogo che da lì a poco sarebbe diventato il simbolo della pandemia.
Le numerose e-mail di rassicurazione del rettore Remo Morzenti Pellegrini, gli esami posticipati, le lezioni a distanza, in pratica la fine della vita universitaria; questo è stato il mio Lockdown.
Mi sono laureato il 30 aprile, dalla mia cameretta, circa un mese dopo quel drammatico 18 marzo 2020, in cui i camion militari trasferivano fuori città le bare per la cremazione. Mai mi sarei immaginato di concludere il percorso in quel modo, quel giorno, da solo nella cameretta da ex-adolescente.
Anche il periodo successivo non è stato affatto facile.
Ero uno tra i tanti neolaureati con molti sogni e speranze alla ricerca di lavoro in un Paese dove tutto chiudeva e nella regione più colpita, la Lombardia. Mi sono trovato nella situazione in cui purtroppo molti si trovano ancora oggi, continuavo a inviare ininterrottamente il curriculum, ma le risposte erano poche e i colloqui ancora meno. Il virus mi ha fatto comprendere quanto, a volte, sia necessario fermarsi. Ho capito l’importanza del saper stare solo con me stesso e riflettere. Stare fermi non significa inevitabilmente rimanere bloccati, bensì comprendere al meglio le varie situazioni dando il giusto valore al senso del tempo. “Chi si ferma è perduto” quindi è una frase che vale. Fino a un certo punto. Certamente bisogna stare al passo con i tempi, ma è giusto farlo con maggiore consapevolezza, valutando le situazioni per prendere le migliori decisioni. Fermarsi e riflettere, non male. di Filippo MessinaLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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Tag: covid19
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