A 44 anni dalla morte di Alfredino Rampi. La prima tragedia in diretta tv
Sono passati 4 anni da quel 10 giugno 1981 in cui l’Italia si fermò, sospesa tra speranza e angoscia. Tutti lì a seguire la vicenda di Alfredino Rampi. Un bambino di soli 6 anni precipitato in un pozzo artesiano nel piccolo comune di Vermicino, vicino Roma

A 44 anni dalla morte di Alfredino Rampi. La prima tragedia in diretta tv
Sono passati 4 anni da quel 10 giugno 1981 in cui l’Italia si fermò, sospesa tra speranza e angoscia. Tutti lì a seguire la vicenda di Alfredino Rampi. Un bambino di soli 6 anni precipitato in un pozzo artesiano nel piccolo comune di Vermicino, vicino Roma
A 44 anni dalla morte di Alfredino Rampi. La prima tragedia in diretta tv
Sono passati 4 anni da quel 10 giugno 1981 in cui l’Italia si fermò, sospesa tra speranza e angoscia. Tutti lì a seguire la vicenda di Alfredino Rampi. Un bambino di soli 6 anni precipitato in un pozzo artesiano nel piccolo comune di Vermicino, vicino Roma
Sono passati quarantaquattro anni da quel 10 giugno 1981 in cui l’Italia si fermò, sospesa tra speranza e angoscia. Tutti lì a seguire la vicenda di Alfredo Rampi (per tutti semplicemente Alfredino). Un bambino di soli sei anni precipitato in un pozzo artesiano nel piccolo comune di Vermicino. A una ventina di chilometri da Roma. Una storia tragica che avrebbe cambiato per sempre non soltanto la gestione delle emergenze nel nostro Paese, ma anche il rapporto tra televisione e cronaca. Quella vicenda – seguita in diretta tv da milioni di persone – non fu solo un dramma personale. Ma un evento collettivo che lasciò un’impronta profonda nella coscienza nazionale.
La sera della tragedia Alfredino aveva chiesto al padre di poter rientrare da solo. E il padre aveva acconsentito, visto che c’era soltanto un breve tratto di campagna da percorrere. Quando però il bambino non fu visto arrivare a casa, i genitori fecero subito scattare le ricerche. Fu la nonna paterna a ricordare l’esistenza di un pozzo aperto nelle vicinanze: un dettaglio che si sarebbe rivelato cruciale. Quando un agente vi si affacciò, sentì infatti i deboli lamenti del piccolo: era ancora vivo, ma incastrato a oltre 30 metri di profondità in uno spazio stretto e irregolare, di appena 28 centimetri di diametro. Iniziarono così ore febbrili di soccorsi, che si trasformarono in una corsa contro il tempo. Ma il disastro organizzativo fu evidente: i soccorritori si alternavano senza coordinamento, le manovre erano spesso improvvisate, alcuni tentativi peggiorarono addirittura la situazione.
Intanto la Rai aveva cominciato una telecronaca in diretta continua e senza precedenti, che finì per trasformare quella tragedia in un evento mediatico nazionale. Per 18 ore consecutive oltre 21 milioni di italiani restarono incollati allo schermo, vivendo ogni attimo con angoscia e commozione, mentre alcuni volontari tentarono di introdursi in quel maledetto cunicolo per provare a estrarre il bambino. Sino all’epilogo a cui nessuno avrebbe mai voluto assistere e che il compianto giornalista Giancarlo Santalmassi (scomparso soltanto qualche giorno fa) sintetizzò con queste parole: «Volevamo vedere un fatto di vita, abbiamo visto un fatto di morte».
Un evento che segnò una sconfitta umana e istituzionale, ma aprì gli occhi del Paese sulla necessità di avere un sistema di soccorso organizzato e competente. Il Presidente della Repubblica Sandro Pertini volle recarsi sul luogo della tragedia per seguire in prima persona le operazioni. Colpito dalla confusione nei tentativi di salvataggio, promise un cambiamento. E così, soltanto qualche mese dopo, telefonò a Franca Rampi (la mamma di Alfredino) per comunicarle la nascita del nuovo dipartimento della Protezione civile, nell’ambito della Presidenza del Consiglio dei ministri. Un’istituzione fondamentale, pensata per prevenire e gestire le emergenze e divenuta ormai un modello di efficienza che è in realtà il frutto di una lezione dura, imparata nel dolore.
La vicenda di Vermicino rappresentò anche un punto di svolta nella storia della televisione italiana. In quei momenti febbrili, in quella maratona che trasformò un dramma intimo in uno spettacolo pubblico, vennero piantati i semi di quella che, anni dopo, sarebbe stata definita “tv del dolore”. Un fenomeno che divide tra chi lo considera un doveroso esercizio di empatia collettiva e chi ne stigmatizza la pericolosa deriva sensazionalistica.
Ma forse, proprio grazie a quell’enorme copertura mediatica, il ricordo di Alfredino è sopravvissuto al tempo. A Roma un murale lo ritrae accanto a Mazinga Z, il supereroe che – nel tentativo di confortarlo laggiù al buio, a un passo dalla morte – gli avevano detto sarebbe arrivato a salvarlo. Una promessa che non si è riusciti a mantenere, ma che custodisce tutta l’innocenza e la speranza di un bambino. La cui storia ha rappresentato un lutto popolare, rivelatosi fondamentale per imparare a salvare vite.
di Stefano Faina e Silvio Napolitano
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