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L’immortalità di Mazinga Z

L’immortalità di Mazinga Z

Mazinga Z l’immortale: gli eccessi del manga di Go Nagai la cui cifra stilistica è senza dubbio l’eccesso
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La cifra stilistica di Kiyoshi Nagai, in arte Go Nagai, è senza dubbio l’eccesso. Che lui stesso riconduce a un momento della sua gioventù in cui si confrontò con la propria mortalità. Poco prima di iscriversi alla prestigiosa Università Waseda di Tokyo, Go Nagai è colto da una colite molto violenta. Dopo tre settimane di dolori lancinanti, in cui si convince persino di avere un tumore al colon, ha – per così dire – un momento di illuminazione. Se il suo destino è quello di morire giovane, allora vuole lasciare una traccia della sua esistenza. Alle ortiche quindi la carriera del salaryman (nomignolo usato in giapponese per impiegato) che, per quanto di successo, è destinato al grigiore della massa. Sì, invece, alla carriera di mangaka (fumettista) e all’espressione del suo mondo interiore. Influenzato da artisti del calibro del francese Gustave Doré e del compatriota Osamu Tezuka, questo sprone sopravvive anche alla certificazione della sua sana e robusta costituzione. Nato nel 1945, in questi 78 anni Go Nagai ha infatti prodotto un numero elevato di grandi successi nel campo sia dei manga (fumetti giapponesi) che delle loro trasposizioni in anime (cartoni animati nipponici). Storie erotiche, comiche, esoteriche, fantascientifiche, ideate senza soluzione di continuità. Ben nota al pubblico italiano è quella del mecha (essere meccanico) Mazinga Z. Non si tratta del primo manga di robottoni: questo titolo è probabilmente appannaggio di “Denki Danko”, una breve storia del 1940 in cui appare un robot a forma di polpo. In Giappone si era poi già avuto il successo di “Tetsuwan Atom” di Tezuka (conosciuto anche come Astro Boy, anche se noi lo definiremmo un androide) e quello del robot radiocomandato “Tetsujin 28-go” di Mitsuteru Yokoyama. Tuttavia Mazinga è il primo a essere pilotato da un essere umano al suo interno, come se fosse una macchina. Go Nagai è infatti fermo nel traffico quando pensa a quanto sarebbe bello se il suo veicolo potesse superare in due balzi quelli dei suoi concittadini. Vorrebbe addirittura far arrivare il protagonista Koji Kabuto dentro Mazinga con una moto, ma quando l’editor Yoshinori Watanabe gli fa notare che lo renderebbe troppo simile al già famoso Kamen Rider, Nagai allora rilancia con un veicolo volante capace di agganciarsi direttamente alla testa del colossale mecha. Alto 18 metri, Mazinga deve il suo nome agli ideogrammi nipponici Ma (demone) e Jin (dio). Un dio demoniaco creato col materiale japanium, tanto fittizio quanto resistente, per proteggere l’umanità dai mostri meccanici del dottor Hell. Mostri ritrovati nel sottosuolo dell’isola di Creta e appartenenti alla perduta civiltà dei Micenei, che assistono il dottore malvagio grazie anche all’ermafrodita barone Ashura (ottenuto grazie a due mummie micenee di sesso diverso unite in senso longitudinale) e al duca Gorgon, ibrido chimerico dal corpo di uomo montato sul dorso di una tigre dai denti a sciabola. Ad aiutare l’eroe abbiamo invece il robot femminile Afrodite A (dotata persino di seni) e il tarchiato Boss Robot. Una compagine grottesca e visionaria che è senz’altro riuscita a rendersi memorabile, com’era peraltro nelle intenzioni del suo autore. di Camillo Bosco  

VOTO:

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