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A Caivano non servono annunci

Meloni annuncia di voler “offrire sicurezza alla popolazione”. Riportare la legalità nelle periferie ad alto tasso di criminalità è un bell’obiettivo, ma va fatto davvero
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A Caivano non servono annunci

Meloni annuncia di voler “offrire sicurezza alla popolazione”. Riportare la legalità nelle periferie ad alto tasso di criminalità è un bell’obiettivo, ma va fatto davvero
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A Caivano non servono annunci

Meloni annuncia di voler “offrire sicurezza alla popolazione”. Riportare la legalità nelle periferie ad alto tasso di criminalità è un bell’obiettivo, ma va fatto davvero
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Meloni annuncia di voler “offrire sicurezza alla popolazione”. Riportare la legalità nelle periferie ad alto tasso di criminalità è un bell’obiettivo, ma va fatto davvero
«Bonificare» l’area del Parco Verde di Caivano e «offrire sicurezza alla popolazione». È quanto ha annunciato di voler fare Giorgia Meloni, che nel giorno del primo Consiglio dei ministri dopo la pausa estiva aveva annunciato la visita di oggi nel quartiere tornato – di nuovo – alla ribalta delle cronache per gli abusi sessuali compiuti ai danni di due bambine. Un annuncio certo d’effetto, come la dichiarazione che «per la criminalità non devono esistere zone franche». Tutto bello, tutto giusto. Ma il Parco Verde di Caivano non esiste da oggi, non esiste soltanto perché lì sono state violentate due ragazzine. Lì quasi dieci anni fa una bimba, Fortuna Loffredo, fu buttata giù da un palazzo dopo aver subìto violenze che lo stesso medico legale definì «le peggiori mai viste ai danni di una bambina». E dallo stesso palazzo era precipitato un altro bambino, pochi mesi prima di Fortuna. Quel quartiere è soprattutto una delle piazze di spaccio più grandi d’Europa, è un agglomerato di palazzi dove l’illegalità è l’unica legge. E non da oggi: da decenni. Per non parlare delle condizioni in cui si trovava anche il centro sportivo, abbandonato, dove le violenze sulle due bambine sono avvenute. Anche quello non è così da oggi e ora si annuncia che verrà risistemato e rimesso in funzione. Voler riportare la legalità nelle periferie ad alto tasso di criminalità è un bell’obbiettivo. Il punto è che va fatto davvero. Come si intende procedere a Caivano, al di là degli annunci? Mandando l’esercito? Aprendo una caserma? Quello che succede al Parco Verde non è un mistero. Oggi siamo tutti sotto choc per quegli abusi orrendi, ma quella realtà è così perché da anni, da decenni, le cose sono rimaste intatte. Caivano è come il boschetto di Rogoredo a Milano. È come lo Zen di Palermo. E altri esempi se ne potrebbero fare a decine, da Nord a Sud. Sono aree di degrado e criminalità, di povertà e disperazione, situazioni incancrenite che sono il prodotto non di mesi, ma di anni di mancati interventi. Zone perfettamente conosciute dalle stesse forze dell’ordine, ma dove loro stesse fanno fatica a intervenire. Sono polveriere, pronte a esplodere. Luoghi da cui si è preferito distogliere lo sguardo. Come se in fondo lasciare lì tutto com’è fosse preferibile al ritrovarsi col problema di dover gestire le conseguenze di interventi massicci: sgomberi e maxi-operazioni contro un sistema criminale che lì non è eccezione ma regola. E allora è bello, bellissimo annunciare la volontà di riportare la legalità. Soltanto che questo annuncio sembra un po’ troppo contingente. Per sanare situazioni come il Parco Verde servono piani d’azione articolati. Serve capire come intervenire davvero. Altrimenti finiscono per essere, ancora una volta, soltanto parole. E quei bambini, che a Caivano ci stanno crescendo, non ne hanno bisogno. Di Annalisa Grandi

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