Adunata alpini: i social non siano sostituti della Procura
Adunata alpini: i social non siano sostituti della Procura
Adunata alpini: i social non siano sostituti della Procura
Se le molestie ci sono state, i responsabili devono essere puniti. Non si possono però trasformare i social in un surrogato dei tribunali. Non si possono utilizzare dei post di Facebook come surrogato di una denuncia. Eppure è quello che sempre più spesso avviene.
È accaduto anche per la vicenda dell’adunata degli Alpini a Rimini. Sulla pagina Facebook di “Non una di meno” sono fioccati i racconti di ben 150 donne che hanno scritto di essere state in qualche modo infastidite, molestate e palpeggiate durante quel ritrovo. È molto plausibile, ed è inutile negarlo, che in un evento come quello i partecipanti abbiano bevuto e parecchio. Rimane però il fatto che nessuna di quelle 150 persone che sui social hanno descritto le molestie abbia sporto regolare denuncia. Bene ha fatto comunque l’associazione organizzatrice dell’adunata a prendere le distanze da qualsiasi molestia possa essere stata messa in atto. Il ministro della Difesa Guerini ha parlato di «comportamenti gravissimi» ma ha pur sottolineato che devono essere accertati.
Il problema è che ormai i social network vengono utilizzati in modo improprio, come se scrivere un post sia come recarsi in un Commissariato. Non è così, anche se questo deve far riflettere sul fatto che evidentemente non vi è ancora il salto culturale per cui denunciare, nei casi di molestie, diventa la prima cosa da fare. Lo dimostra anche la vicenda del cantante Leo Gassman, figlio di Alessandro, intervenuto per aiutare una giovane americana aggredita sessualmente a Roma. Lui ha chiamato polizia e ambulanza, ma lei – oltre a ringraziarlo in Rete – una denuncia formale ancora non l’ha presentata, anche se va detto che in questo caso l’intervento delle forze dell’ordine è sufficiente a far partire le indagini.
I social network non possono trasformarsi in tribunali sommari e le vittime tra l’altro rischiano di finire preda di commenti sgradevoli. Eppure deve far ragionare il fatto che sempre più spesso questo strumento viene utilizzato per raccontare, filmare, accusare. Al fondo c’è una fiducia ancora scarsa negli strumenti a contrasto della violenza di genere, per cui si preferisce l’accusa pubblica all’affidarsi agli organi preposti. L’abbiamo visto anche nel caso delle violenze, quelle sì accertate, di Capodanno a Milano. I video sono stati postati sui social prima ancora che si procedesse con le indagini. In quel caso, sono risultati utili. Altre volte alimentano solo un voyeurismo senza scopo. I social network restano uno strumento importante, bisognerebbe però aver chiaro in mente che esistono dei limiti entro i quali usarli.
di Annalisa GrandiLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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