Alika Ogochukwu, quando la paura non è indifferenza ma un diritto
Il caso del povero nigeriano ucciso senza pietà a Civitanova Marche impone una riflessione dopo che in molti, sul web, si sono scagliati contro chi ha assistito a quella scena terribile senza fare nulla, dimenticando che la paura è un sentimento umanissimo e molto soggettivo. Una cosa è guardare dallo schermo di un telefonino, altra cosa è essere lì. E in quel momento, sfortuna per il povero Alika, non c’era nessun Rambo
| Cronaca
Alika Ogochukwu, quando la paura non è indifferenza ma un diritto
Il caso del povero nigeriano ucciso senza pietà a Civitanova Marche impone una riflessione dopo che in molti, sul web, si sono scagliati contro chi ha assistito a quella scena terribile senza fare nulla, dimenticando che la paura è un sentimento umanissimo e molto soggettivo. Una cosa è guardare dallo schermo di un telefonino, altra cosa è essere lì. E in quel momento, sfortuna per il povero Alika, non c’era nessun Rambo
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Alika Ogochukwu, quando la paura non è indifferenza ma un diritto
Il caso del povero nigeriano ucciso senza pietà a Civitanova Marche impone una riflessione dopo che in molti, sul web, si sono scagliati contro chi ha assistito a quella scena terribile senza fare nulla, dimenticando che la paura è un sentimento umanissimo e molto soggettivo. Una cosa è guardare dallo schermo di un telefonino, altra cosa è essere lì. E in quel momento, sfortuna per il povero Alika, non c’era nessun Rambo
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Il caso del povero nigeriano ucciso senza pietà a Civitanova Marche impone una riflessione dopo che in molti, sul web, si sono scagliati contro chi ha assistito a quella scena terribile senza fare nulla, dimenticando che la paura è un sentimento umanissimo e molto soggettivo. Una cosa è guardare dallo schermo di un telefonino, altra cosa è essere lì. E in quel momento, sfortuna per il povero Alika, non c’era nessun Rambo
Alika Ogochukwu, il nigeriano ucciso a mani nude a Civitanova Marche, poteva essere salvato? Sembra, pare di no. O forse sì. La verità è che non si saprà mai.
Eppure appena comparso online il video che ne ha registrato gli ultimi istanti di vita, in moltissimi si sono affrettati ad asserire con assoluta sicurezza “che sì, Alika si sarebbe potuto salvare”. Assistere in presa diretta a quella dissennata furia omicida non deve essere stata cosa di poca conto per i presenti: due anziani signori, un impiegato e una ragazza moldava di 28 anni. Ancora così sicuri che Alika si sarebbe potuto salvare da quella folle rabbia?
Proprio la ragazza è quella che ha schiacciato REC sul telefonino. C’è chi non ha capito che quel video è stato fatto non per spettacolarizzare la scena del crimine bensì per catturare il momento come elemento di prova, probabilmente senza immaginare che l’esito dell’aggressione sarebbe stata fatale. Gli inquirenti l’hanno anche ringraziata perché le immagini sono state risolutive.
Nessuno dei presenti è stato indifferente, come è stato erroneamente detto. Si sentono chiaramente le urla che invocano l’uomo di fermarsi: “Così lo ammazzi” gli intimano.
Certo i fratelli Bianchi e Co. si sarebbero fiondati senza pensarci ma non tutti sono esperti lottatori di MMA. Col senno di poi è facile giudicare.
E se l’omicida avesse avuto un coltello o peggio ancora una pistola?
Va detto che da parte di tutti – compreso chi scrive – c’è l’umanissima tendenza a lasciarsi andare a giudizi troppo affrettati. Sentendo la notizia della piccola Diana, quanti hanno pensato al ruolo della nonna? “Una figura assente che ha lasciato la piccola nelle mani di una figlia che sapeva squilibrata” sono stati i primi commenti circolati sul web. Oppure: in quanti hanno pensato che le due ragazze falciate da un treno a Riccione erano troppo giovani per andare a ballare da sole di notte? Solo dopo si è saputo che era la prima volta che accadeva, che il padre sarebbe dovuto andarle a prendere “se a una non gli avessero rubato il cellulare; se all’altra non gli si fosse scaricato…”. ”
Se”, chissà come sarebbe stata diversa la storia oggi. Ma sul web, ancora prima di conoscere questi dettagli, tutti avevano già giudicato.
Questo pettegolezzo spiccio legato ai fatti di cronaca, non così diverso da quello che si intrattiene sotto gli ombrelloni che narra degli ultimi flirt da copertina, esisterà sempre. Una delle prime lezioni di giornalismo insegna proprio che in prima pagina non debbano mai mancare le famose tre “S”: soldi, sesso e sangue.
Lasciarsi andare a giudizi frettolosi è qualcosa di molto umano. Prima però di lanciarsi in un iperbole senza capo né coda è sempre meglio attendere di avere dati certi. Invece si innesca una fastidiosissima gara al post, soprattutto tra i cosiddetti opinion leader che finiscono soventemente col fare figuracce destinate all’oblio nel giro di poche ore. Tutto si dimentica e quasi tutto si perdona sul web. Ma allora vanno “perdonate” – anche se non ce ne sarebbe proprio bisogno – anche quelle persone che alla morte di Alika hanno assistito. Spiace sentire la vedova dire che “Nessuno lo ha aiutato perché è nero”. C’è chi provò ad aiutare il povero Willy, che pure era di colore, ma non ci riuscì. Sbaglia chi invoca per loro il reato di omissione di soccorso, perché anche la paura è un’attitudine molto umana e soggettiva. Non si può misurare. Ad alcuni paralizza, altri se la fanno proprio sotto (e non è assolutamente solo un modo di dire, ma può accadere di non controllare più lo sfintere), altri ancora reagiscono trasformandosi in dei leoni. Chiunque abbia assistito a un’aggressione cruenta, che vada oltre il classico spintone, conosce l’effetto della paura su di sé, qualcosa che il nostro ordinamento non individua come reato. Altra cosa è l’indifferenza.
Di Ilaria Cuzzolin
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Tag: Evidenza, psicologia
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