I cosiddetti Pandora Papers sono dodici milioni di documenti riservati, emersi grazie all’inchiesta del consorzio Icij, a cui aderiscono 600 giornalisti di 150 testate internazionali. I Pandora Papers riecheggiano i più famosi Panama Papers, che cinque anni fa fecero gran rumore.
A questo giro, i nomi italiani più noti sarebbero quelli di Gianluca Vialli e Roberto Mancini. A loro ‘carico’ l’aver aperto società in Paesi offshore. Una pratica riconosciuta dalla nostra legislazione, a patto che il fisco italiano ne sia a conoscenza. Per farla breve, a meno che non si eludano o evadano tasse, un cittadino italiano può mettere i propri soldi dove desideri, rispettando le leggi del nostro Paese e di quelli in cui si investa o si conservi del denaro. Tutto il resto, fino a prova contraria, resta pura speculazione imbevuta di moralismo.
Due nomi di ex calciatori arcinoti vengono dati in pasto all’opinione pubblica, alludendo alle ricchezze portate nei paradisi fiscali. Senza spiegare, senza informazioni che vadano oltre il darsi di gomito. È un giornalismo che non cerca più neppure di costruire un teorema, è sufficiente l’equazione ricchi e famosi=approfittatori.
Si sfrutta un odio sociale che ha provocato guasti enormi negli ultimi 10 anni in Italia e che ciononostante resta passione di troppi. Vuoi mettere, poi, se il tutto è condito da nomi e luoghi esotici e dall’evocativa immagine del vaso di Pandora che chissà cosa nasconderà… È solo il vecchio e acido gioco delle allusioni.
di Giulio Carta
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