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L’assassino di Carol Montesi evita l’ergastolo

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Trent’anni di reclusione e non l’ergastolo: questa la sentenza per Davide Fontana, reo confesso per l’omicidio di Carol Maltesi dell’11 gennaio 2021
L’assassino di Carol Montesi evita l’ergastolo

L’assassino di Carol Montesi evita l’ergastolo

Trent’anni di reclusione e non l’ergastolo: questa la sentenza per Davide Fontana, reo confesso per l’omicidio di Carol Maltesi dell’11 gennaio 2021
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L’assassino di Carol Montesi evita l’ergastolo

Trent’anni di reclusione e non l’ergastolo: questa la sentenza per Davide Fontana, reo confesso per l’omicidio di Carol Maltesi dell’11 gennaio 2021
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Le sentenze applicano il diritto, le sentenze non devono seguire il senso comune e tanto meno l’emozione delle folle e del momento (giammai, la storia ci ha più volte presentato il conto del giustizialismo forcaiolo), eppure… Eppure, a leggere le motivazioni della sentenza di condanna a trent’anni di reclusione e non all’ergastolo – richiesto dal pubblico ministero per Davide Fontana omicida reo confesso di Carol Maltesi uccisa barbaramente l’11 gennaio 2021 – è impossibile soffocare un moto di sorpresa. Eufemismo. Il corpo di Carol fu scoperto solo a distanza di mesi nei boschi di Borno, in provincia di Brescia: era stato fatto a pezzi, in parte bruciato su un barbecue nel maldestro tentativo dell’assassino di disfarsene. In precedenza era stato tenuto per settimane in un freezer, mentre l’uomo usando il telefono della vittima continuava a inscenare una macabra vita parallela della donna, per prender tempo e depistare le indagini. Carol era stata già uccisa da tempo a martellate e con un fendente alla gola: numerose le martellate inferte, mentre la vittima era impossibilitata a tentare una qualsiasi forma di reazione o difesa, legata mani e piedi e imbavagliata. Nelle motivazioni, la Corte d’Assise ha spiegato perché ha escluso la premeditazione, le aggravanti dei motivi abietti e futili e la crudeltà che sono ciò che ha salvato – almeno in primo grado – l’imputato dall’ergastolo. Sono due i termini che giuridicamente esposti in modo ineccepibile, colpiscono la nostra povera coscienza di essere umani e non tecnici del diritto: “disinibita“ e “innamoramento”. L’uomo era innamorato della donna che poi avrebbe massacrato, si legge nelle motivazioni, e si sarebbe sentito usato prima e poi scaricato da lei. Non ci sono state sevizie e crudeltà – secondo la Corte d’Assise di Busto Arsizio – perché la donna, attratta in una trappola da Fontana, avrebbe dato un sostanziale assenso alle pratiche “bondage” che hanno preceduto l’assassinio. Carol Maltesi è poi definita “giovane e disinibita”, con riferimento alle relazioni plurime intessute e alla decisione di abbracciare la carriera di attrice porno: nelle motivazioni, quella “disinibita“ non ha alcuna implicazione di carattere morale o di giudizio, ma il suono resta. L’eco di un’idea che ci disturba, accompagnato a quell’”innamoramento” che tutto è tranne che amore. Ne è la negazione assoluta, possesso malato e patologico, ansia di prevaricazione punitiva. No, per rispondere ai giudici di Busto Arsizio che hanno testualmente risposto così alle polemiche, trent’anni di carcere non sono pochi e in punto di diritto avranno magari ragione (toccherà all’appello e all’eventuale Cassazione stabilirlo), ma il rumore di quelle due parole continua a rimbombarci nel cervello. di Fulvio Giuliani

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