Brescia, a 50 anni dalla strage di piazza della Loggia la giustizia ancora cerca un equilibrio
Nel 1974 lo stragismo neofascista mise a segno due gravi attentati: il 28 maggio a Brescia e la notte tra 3 e 4 agosto contro i passeggeri del treno “Italicus”
Brescia, a 50 anni dalla strage di piazza della Loggia la giustizia ancora cerca un equilibrio
Nel 1974 lo stragismo neofascista mise a segno due gravi attentati: il 28 maggio a Brescia e la notte tra 3 e 4 agosto contro i passeggeri del treno “Italicus”
Brescia, a 50 anni dalla strage di piazza della Loggia la giustizia ancora cerca un equilibrio
Nel 1974 lo stragismo neofascista mise a segno due gravi attentati: il 28 maggio a Brescia e la notte tra 3 e 4 agosto contro i passeggeri del treno “Italicus”
Nel 1974 lo stragismo neofascista mise a segno due gravi attentati: il 28 maggio a Brescia e la notte tra 3 e 4 agosto contro i passeggeri del treno “Italicus”
Nel 1974 lo stragismo neofascista mise a segno due gravi attentati: il 28 maggio a Brescia contro i partecipanti a una manifestazione antifascista e nella notte tra 3 e 4 agosto contro i passeggeri del treno “Italicus”. I neofascisti reagirono così alle estreme difficoltà in cui versavano. La strage del 1969 a Milano non aveva affatto disintegrato il sistema borghese come avevano auspicato, anzi era risultata controproducente. La maggioranza di governo aveva retto, era stato rilanciato l’antifascismo all’insegna del cosiddetto ‘arco costituzionale’, andava consolidandosi la ‘pista nera’ della strage e nell’autunno 1973 erano fioccate condanne in un procedimento contro gli appartenenti a Ordine Nuovo. I politici, allora, avevano decretato lo scioglimento dell’organizzazione: i fascisti si vendicarono.
Nonostante la facilità con cui si individuò la matrice neofascista delle due stragi del 1974, la relativa storia processuale fu stentata. Per Brescia sono stati definitivamente condannati il dirigente ordinovista Maggi e l’allora giovane camerata Tramonte, ma non prima del 2017, al termine del terzo procedimento penale. Una lunghissima indagine preliminare (1993-2007) e altalene di sentenze discordanti nel corso di ciascuno dei tre procedimenti – due dei quali terminati con le assoluzioni di tutti – hanno dilatato i tempi della giustizia.
Per una vicenda del genere due soli colpevoli appaiono troppo pochi, invero. Quest’anno è iniziato un nuovo processo contro altri due fascisti, Toffaloni e Zorzi, accusati dell’esecuzione materiale dell’attentato. Vi è perciò continuità tra l’odierno e il precedente, ma anche una differenza, sottolineata dalla Procura: ora si sospetta che la strage fu preparata nel corso di riunioni tra Carabinieri e comandi Nato, mentre i fascisti avrebbero soltanto fornito la manovalanza, il che muterebbe il quadro della vicenda. Purtroppo, non è spiegato quale interesse avesse la Nato ad abbattere la democrazia italiana, tanto più che non sussisteva alcun rischio di uscita del nostro Paese dall’Alleanza né avvisaglie di tensioni all’interno di quest’ultima provocate dall’Italia. La presunta corresponsabilità dei Carabinieri sembra legata al defunto ufficiale Delfino, già al centro di polemiche sulle indagini decenni fa, processato e assolto nel 2012 e nel 2014, oggi tirato in ballo di nuovo da Ombretta Giacomazzi, ex ragazza del fascista Silvio Ferrari. Ella negli anni Settanta si distinse per i ripetuti cambiamenti tra le sue versioni dei fatti e si fece mesi di carcere, a suo parere perché vittima di Delfino. In anni recenti ha raccontato di avere temporaneamente custodito fotografie delle riunioni criminose, scattate su richiesta di Delfino da Ferrari (morto anche lui), andate perdute. Pertanto, all’opposto degli autori delle altre stragi nere – che facevano di tutto per nascondersi e semmai tentavano di depistare – quelli di Brescia avrebbero confezionato di propria iniziativa le prove a loro carico. Da notare che Giacomazzi ha narrato la vicenda all’esito di un insistente lavoro da parte dell’ufficiale di polizia giudiziaria Giraudo, il quale aveva avvicinato pure un’altra testimone screditata: Donatella Di Rosa, detta Lady Golpe per via delle sue false accuse di eversione lanciate trent’anni fa contro il marito, un militare. Di Rosa ha denunciato Giraudo, sicché un chiarimento preliminare sull’operato dell’ufficiale è indispensabile.
C’è chi prevede che al processo del mezzo secolo ne vedremo delle belle. Speriamo in senso buono.
di Vladimiro Satta
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