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Dopo 6 anni assolto il prof Di Presa. Tra pregiudizio, bugie e giustizia

Vorremmo potervi dire che quella di Castelfidardo è una vicenda rara: non lo è. Nel variopinto catalogo delle vittime di ingiustizia, ci sono diversi altri colleghi del professor Di Presa
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Dopo 6 anni assolto il prof Di Presa. Tra pregiudizio, bugie e giustizia

Vorremmo potervi dire che quella di Castelfidardo è una vicenda rara: non lo è. Nel variopinto catalogo delle vittime di ingiustizia, ci sono diversi altri colleghi del professor Di Presa
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Vorremmo potervi dire che quella di Castelfidardo è una vicenda rara: non lo è. Nel variopinto catalogo delle vittime di ingiustizia, ci sono diversi altri colleghi del professor Di Presa
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Vorremmo potervi dire che quella di Castelfidardo è una vicenda rara: non lo è. Nel variopinto catalogo delle vittime di ingiustizia, ci sono diversi altri colleghi del professor Di Presa

Si avverte un certo senso di stanchezza di fronte al riflesso pavloviano che scatta nel circuito dei media ogni volta che accadono vicende come quella occorsa al professor Giovanni Di Presa di Castelfidardo. Un meccanismo tanto prevedibile quanto logoro e inevitabile, sempre identico: dalle cronache giudiziarie salta fuori il miliardesimo caso di innocente lasciato a rosolare per anni fra udienze e carte bollate (ben frollato da accuse false, indagini così così, tempi infiniti per arrivare a sentenza) e subito giornali, siti e talk show si avventano – lacrima in resta – sul caso umano. Salvo poi lasciarlo precipitare nell’oblio qualche ora dopo, senza troppo curarsi di fare (e farsi) le domande che andrebbero fatte.

Il professor Di Presa è un insegnante di sostegno, ama il suo lavoro e ha sempre cercato di farsi ben volere dagli alunni. Quando però alcune ragazzine delle sue classi hanno esagerato col telefono durante la lezione, glielo ha sequestrato. Vai a immaginare che quel minimo sindacale di disciplina imposta avrebbe caricato a pallettoni le canne mozze dell’incoscienza preadolescenziale. Di lì a poco quattro alunne si sono inventate di sana pianta un’accusa di violenza sessuale e un’altra di maltrattamenti. Avete letto bene: hanno voluto vendicarsi del prof lavorando di fantasia, raccontando di toccamenti di fondoschiena mai avvenuti e toccamenti di ginocchia infortunate non richiesti (Di Presa è un fisioterapista). È finita con due distinti processi per ciascuna accusa, entrambi conclusi con due assoluzioni piene sia in primo sia in secondo grado. Per giunta a sei anni di distanza dalla prima denuncia, 2.190 giorni trascorsi a dribblare sguardi inquisitori dei colleghi e dei vicini di casa, a tapparsi occhi (e naso) davanti a certi titoli colpevolisti, a fare i conti per cercare di arrivare a fine mese nonostante la sospensione dal lavoro.

Vorremmo potervi dire che quella di Castelfidardo è una vicenda rara: non lo è. Nel variopinto catalogo delle vittime di ingiustizia, ci sono diversi altri colleghi del professor Di Presa che hanno vissuto storie analoghe, se non quasi identiche. Con l’unica, esiziale differenza di essere stati arrestati: M. M., per esempio, tre settimane in carcere e quasi un anno ai domiciliari per colpa delle fantasie di quattro sue alunne che – per motivi vari e idioti – raccontarono di essere state toccate con lascivia in diverse parti del corpo. A lungo, a vicenda conclusa, M. M. ha cambiato marciapiede ogni volta che vedeva arrivare una ragazza verso di lui. Oppure quel maestro elementare di Milano costretto a due mesi in carcere e ad altri sei ai domiciliari perché alcuni suoi bambini – plagiati dalle mamme che non lo apprezzavano – raccontarono di essere stati toccati nelle parti intime senza che ciò fosse mai accaduto. E poi ancora insegnanti di liceo, docenti universitari, la lista è lunga. Troppo.

Non serve e non basta indignarsi di fronte a storie come queste, non serve e non basta sentirsi dire che la giustizia e il contesto sociale non dovrebbero permettere la macerazione del professor Di Presa e di tutti gli altri come lui. Anche se nessuno vuole ammetterlo, siamo ridotti a camminare a tentoni nel buio di un’emergenza buona solo per essere affrontata a colpi di ramazza sotto il tappeto. Con le loro calunnie quelle ragazzine hanno fatto male alla scuola, che dimostra di non essere riuscita a insegnare loro quanto sia miserabile il concetto di vendetta. Hanno fatto male alle loro stesse famiglie, evidentemente sordo-cieche e incapaci di esserci almeno quando necessario. Ma hanno fatto male anche all’immagine della donna. E ci sarebbe piaciuto sentire alta la voce di quelle associazioni pronte a stigmatizzare questo mondo fatto di maschi vili e profittatori. Quelle ragazzine sono il loro peggior testimonial.

di Valentino Maimone 

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