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Il Codice Rosso e i ‘buchi’ nella tutela delle donne

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Dobbiamo riflettere e prendiamo l’impegno di farlo – per quanto riguarda noi de La Ragione – su ciò che non basta o non va bene nel Codice Rosso

Il Codice Rosso e i ‘buchi’ nella tutela delle donne

Dobbiamo riflettere e prendiamo l’impegno di farlo – per quanto riguarda noi de La Ragione – su ciò che non basta o non va bene nel Codice Rosso

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Il Codice Rosso e i ‘buchi’ nella tutela delle donne

Dobbiamo riflettere e prendiamo l’impegno di farlo – per quanto riguarda noi de La Ragione – su ciò che non basta o non va bene nel Codice Rosso

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Dobbiamo riflettere e prendiamo l’impegno di farlo – per quanto riguarda noi de La Ragione – su ciò che non basta o non va bene nel Codice Rosso.

L’ultima, assurda tragedia di Milano ha colpito in modo profondo ciascuno. Come troppe, altre volte e oseremmo dire a livello personale, perché si è superato qualsiasi confine comprensibile di disprezzo della vita umana. Delle vite che dovrebbero essere in cima alle nostre cure, perché associate all’idea di amore. Di tutela. Di massima attenzione e gentilezza.

E invece questi soggetti, che si autodefiniscono ‘uomini’ senza averne alcuna caratteristica riconoscibile, possono anche approfittare di ciò che ancora non va nelle normative. In quel Codice Rosso pensato per tutelare le più deboli.

Abbiamo sempre creduto (e crediamo tuttora) che sia inutile invocare pene ancora più severe, lì dove le pene ce le abbiamo e soprattutto in troppi casi – come nella tragedia di Milano – non arriveranno mai a poterci consolare di quanto si sarebbe potuto fare, prevedere e non si è fatto e previsto.
Perché il codice rosso, pur non superando il concetto di denuncia necessaria per avviare una serie di misure a tutela della donna, prevede interventi anche in assenza della querela di parte, se ad attivarsi sono altri soggetti coinvolti.

Nella tragedia di Gorla, zona nord del capoluogo lombardo, come in troppe altre, tutto ciò non è accaduto. Bisogna chiedersi perché, con lucidità e freddezza. Senza pretendere di avere tutte le risposte e nel modo più assoluto – per carità – mettendosi a caccia di facili responsabili.
Eppure se esistono delle carenze in termini di formazione e competenza va detto.

Questa è solo la nostra opinione, ma la offriamo alla vostra valutazione: può bastare una sola richiesta degli operatori di pubblica sicurezza intervenuti dopo pestaggi e violenze, come nel caso della povera ragazza di Milano, per accettare il suo No alla denuncia?
Senza saper considerare le pressioni psicologiche, le minacce, le vessazioni subite o anche solo accennate, proprio per evitare la querela?

Non è successo solo a Pamela Genini e ne scriveremo nei prossimi giorni, facendoci aiutare da chi ha competenze professionali nel settore e sta studiando casi tragicamente simili.

di Fulvio Giuliani

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