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Il nuovo volto della ‘ndrangheta

Le carte dell’inchiesta lo raccontano come «un nuovo volto della ’ndrangheta», un accordo tra le ‘ndrine e le famiglie rom
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Il nuovo volto della ‘ndrangheta

Le carte dell’inchiesta lo raccontano come «un nuovo volto della ’ndrangheta», un accordo tra le ‘ndrine e le famiglie rom
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Il nuovo volto della ‘ndrangheta

Le carte dell’inchiesta lo raccontano come «un nuovo volto della ’ndrangheta», un accordo tra le ‘ndrine e le famiglie rom
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Le carte dell’inchiesta lo raccontano come «un nuovo volto della ’ndrangheta», un accordo tra le ‘ndrine e le famiglie rom

Le carte dell’inchiesta lo raccontano come «un nuovo volto della ’ndrangheta». A Reggio Calabria nei giorni scorsi sono state arrestate 26 persone, accusate fra l’altro di associazione a delinquere di stampo mafioso. Fra queste ci sono molti appartenenti a famiglie rom. Si tratta di un salto di qualità di quello che finora veniva considerato un livello criminale ben più basso. In sostanza, i classici reati come i furti o il “cavallo di ritorno” sono il passato. Il presente, descritto in una ordinanza di oltre 1.700 pagine, racconta di un accordo fra le ’ndrine e le famiglie rom. Un accordo per il traffico di droga, le estorsioni, il racket delle occupazioni. Un patto per far sì che tutto il territorio sia sotto controllo. Non a caso nell’ordinanza si parla di «mafia vera perché si ritiene padrona piena ed esclusiva del territorio, con tutti i relativi poteri».

Mafia, una parola che sembra far parte del passato e invece no. Fa meno rumore, oggi. Ma resiste e anzi cambia, si modifica inglobando chiunque possa risultare utile per avere il controllo il più capillare possibile sul territorio. Ci sono tutti gli ingredienti ‘tipici’: le armi nascoste nei garage o in case popolari trasformate in covi. I riti di affiliazione. Gli incontri fra i boss. Le minacce. E a girare fra le strade indicate nell’inchiesta, si ha la netta percezione di un mondo a parte. Dove si considera normale delinquere. Dove non troverai voci che condannino quel modus operandi. Dove anche chi è onesto, in fondo, è rassegnato. Per quieto vivere, per paura. Ci sono interi quartieri dove anche soltanto un volto diverso dai soliti viene subito notato. Dove arriva un ‘forestiero’ subito spuntano le vedette. In scooter, in auto. Il senso di insicurezza, per chi lì non ci vive, arriva appena si muovono i primi passi fra queste case.

E infatti quasi nessuno denuncia. Lo ha fatto un ragazzo che si chiama Francesco Ventura e che per questo da anni subisce minacce. Scrive che da tempo i clan della ’ndrangheta e quelli dei rom si sono uniti. Racconta che esiste un racket delle case popolari che lui stesso ha subìto. Da dieci anni combatte una battaglia per riavere la sua casa, quella che era stata assegnata a suo padre in quanto ex appartenente alle forze dell’ordine e che invece gli è stata occupata da un tizio arrestato nei giorni scorsi e che in passato era già stato condannato per estorsione. Eppure quella casa è ancora di quell’uomo e della sua famiglia. E Francesco sa che, se anche la riavrà, lì non ci potrà mai tornare. Perché sarebbe solo. Circondato.

La cosa più incredibile, a guardarla da fuori, è che finora nessuno aveva mai raccontato la storia di Francesco. Una storia che suona incredibile a chi vive lontano da lì, ma che fra quelle strade è perfettamente normale. Pochi giorni fa qualcuno ha esploso dei colpi di pistola contro la macchina di Francesco. Un avvertimento, l’ennesimo. Per questo la sua storia – e quello che succede nei quartieri dove lo Stato ha perso il controllo – merita di essere raccontata. Perché non resti solo. Come lo è stato in questi dieci anni.

di Annalisa Grandi 

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