È solo l’ultimo caso di una lunga serie di no-vax più o meno pentiti costretti a fare i conti con le conseguenze della loro cocciutaggine. Talvolta tragiche. Mauro Buratti, 61 anni, era diventato una celebrità negazionista grazie al programma radiofonico “La Zanzara” di Radio24, prima di essere contagiato dal Covid-19 e finire in ospedale a inizio dicembre, dove è morto per le conseguenze del virus.
Oltre che fiero no-vax, “Mauro da Mantova” – com’era conosciuto, detestato e idolatrato dagli ascoltatori – si era anche definito orgoglioso ‘untore’, avendo confessato di essersi recato senza mascherina e da positivo in un supermercato. Vicenda che gli era costata qualche denuncia e una valanga di accuse e improperi.
Inutile tornare su questi ultimi così come sui distinguo post mortem dei conduttori della trasmissione, che si erano sempre schierati rumorosamente contro di lui e contro le sue posizioni anti-vaccini, ma continuando a farlo intervenire in diretta. Il punto è che “Mauro da Mantova” era show, puro spettacolo, parte di quella macedonia impazzita di un pezzo di informazione che oggi si vorrebbe mettere all’indice per spiegare il ‘fenomeno’ e la sua tragica fine.
Solo che parliamo di uno specchio riflesso. Una storia sconcertante che, a ben vedere, è la peggiore degenerazione di quei 15 minuti di cui parlava Andy Warhol. Nemmeno nei lisergici anni Settanta dell’icona pop di New York, però, si sarebbe mai potuto immaginare un simile prezzo da pagare per quel quarto d’ora di celebrità.
di Marco Sallustro
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