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Incuria

Negli ultimi cinquant’anni il fiume Seveso è esondato più di cento volte. Il fatalismo con cui i milanesi salutano le cadenzate esondazioni non è la risposta né la soluzione
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Negli ultimi cinquant’anni il fiume Seveso è esondato più di cento volte. Il fatalismo con cui i milanesi salutano le cadenzate esondazioni non è la risposta né la soluzione
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Negli ultimi cinquant’anni il fiume Seveso è esondato più di cento volte. Il fatalismo con cui i milanesi salutano le cadenzate esondazioni non è la risposta né la soluzione
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Negli ultimi cinquant’anni il fiume Seveso è esondato più di cento volte. Il fatalismo con cui i milanesi salutano le cadenzate esondazioni non è la risposta né la soluzione
Ne avrei dovuto scrivere esattamente 24 ore fa e me ne scuso, ma ero impegnato a capire come raggiungere la scuola di mio figlio e come organizzare la mia giornata di lavoro, due semplici e routinarie azioni rese estremamente complesse dall’esondazione del “fiume” Seveso. Per chi non lo sapesse, non stiamo parlando esattamente del Gange o del Mississippi, ma di un piccolo corso d’acqua quasi totalmente interrato nel suo approssimarsi alla città di Milano. Stretto nei canali sotterranei in cui scorre, ad ogni pioggia di elevata intensità questo poco più che torrentello si ripresenta regolarmente in superficie nella zona nord del capoluogo, bloccando o rallentando buona parte delle attività della “capitale economica“ d’Italia. Non usiamo a caso questa definizione che sa molto di anni ‘70 e ‘80, perché negli ultimi cinquanta il “poderoso“ fiume Seveso è esondato più di cento volte. Il che fa una media di oltre due esondazioni all’anno per mezzo secolo. Se non fosse un grosso fastidio e talvolta anche un discreto rischio, ci sarebbe da scoppiare a ridere: Milano azzoppata dal fiumiciattolo che al più dovrebbe rievocare i tristi ricordi di un’epoca – per fortuna andata per sempre – in cui c’era scarsa o nulla considerazione per la cura dell’ambiente e, di conseguenza, della salute delle persone. Solo che mezzo secolo dopo siamo ancora qui, a contare i danni, le ore di lavoro perse, le ore di scuola andate. E perché? Per farla breve, per una vita i comuni della cintura nord del capoluogo hanno fatto una fatica bestiale a trovare gli accordi e concedere le necessarie autorizzazioni per le opere necessarie a rendere controllabile il Seveso anche in caso di forti piogge. Decenni di amministrazioni comunali e regionali non hanno portato a termine i lavori. Non parliamo di niente di spettacolare, nulla che richieda fantasmagorici investimenti, ma solo cura del territorio. Quella che continua tragicamente a mancare in tutto il Paese da nord a sud. Nelle stesse ore in cui Milano ha fatto i conti per l’ennesima volta con gli allagamenti si sono moltiplicati i timori in Emilia-Romagna, già ferita mortalmente da un’inondazione di proporzioni storiche. Nonostante i fiumi di parole – amarissima ironia – spesi dopo ogni disastro, restiamo il Paese delle chiacchiere, del territorio lasciato in uno stato di generale abbandono di fiumi, canali, vallate, pendii, colline, montagne, litorali. E non ci si venga a dire che non ci sono i soldi, nei decenni ne abbiamo stanziati tantissimi, sprecati un’infinità, non utilizzati sempre troppi. Ora, abbiamo l’impegno morale di dar seguito ai lavori finanziati dal Pnrr, prima di perdere un’altra, storica occasione per mettere in sicurezza il Paese. Il fatalismo con cui i milanesi salutano le cadenzate esondazioni del Seveso non è la risposta e tantomeno la soluzione. È solo lo sfinimento di chi non crede più ai propri occhi. Di Fulvio Giuliani

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