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La scuola, il Ramadan, le polemiche inutili e la realtà negata

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La vicenda della scuola di Pioltello chiusa per Ramadan ci porta ad alcune riflessioni cruciali

La scuola, il Ramadan, le polemiche inutili e la realtà negata

La vicenda della scuola di Pioltello chiusa per Ramadan ci porta ad alcune riflessioni cruciali

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La scuola, il Ramadan, le polemiche inutili e la realtà negata

La vicenda della scuola di Pioltello chiusa per Ramadan ci porta ad alcune riflessioni cruciali

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Abbiamo dedicato alla vicenda della scuola di Pioltello, nel milanese, un editoriale su La Ragione dell’altro ieri. Un commento pensato nel tentativo di dribblare le polemiche più facili e, ci sia consentito aggiungere, più idiote appena si parla in questo Paese di Islam e immigrati di fede musulmana. 

Innanzitutto abbiamo voluto riconoscere la serietà del consiglio d’istituto e del dirigente scolastico nel non cercare una soluzione ‘all’italiana’, dichiarando apertamente la chiusura del 10 aprile per la fine del Ramadan. Nessuna finzione , perché la scuola sarebbe stata comunque desertificata dai bimbi musulmani tenuti a casa dei genitori. 
Poi siamo passati a sottolineare un aspetto che consideriamo cruciale, sempre che si voglia parlare seriamente di questi temi: non possiamo andare avanti con differenze così evidenti fra scuole con una presenza equilibrata di bambini immigrati e autoctoni e altre – come nel caso di Pioltello – in cui si arriva quasi alla metà di figli di immigrati. 

Il che non può andar bene per una serie di motivi intuibili e che ieri sono stati richiamati dallo stesso ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara. In sintesi, è inevitabile rallentare l’apprendimento di tutti proprio per il voler e dover garantire la sacrosanta attenzione ai piccoli penalizzati dalla lingua o appena arrivati da noi. 
Anche perché queste classi non godono certo di un trattamento diverso rispetto a qualsiasi altra, le scuole non sono attrezzate per un necessario sostegno a maestri chiamati a fare letteralmente i salti mortali per procedere a un insegnamento equilibrato.

Tacendo un altro aspetto su cui almeno vale la pena ragionare: abbiamo interesse a integrare quanto più possibile bimbi che sono futuri italiani, non creare delle Little Marocco, Tunisia, Siria o Afghanistan. Un conto è il rispetto di tradizioni bellissime da conoscere, altro restare chiusi in se stessi senza far vivere i piccoli con i compagni.

Appena lo si fa notare, però, si viene tacciati di insensibilità, se non direttamente di razzismo più o meno velato. Molto più “chic”, invece, non iscrivere i propri figli in quelle scuole “di frontiera”. Lo fanno migliaia di genitori italianissimi, in fuga dagli istituti in cui temono danni alla formazione dei propri pargoli. Manco a dirlo, la fuga è un’opzione solo per chi ha maggiori disponibilità economiche, tanto per aggiungere ingiustizia a ingiustizia. 
Se preferite, così si somma al becerismo in difesa “dell’italianità” il progressismo peloso di chi i problemi fa finta di non vederli.

di Fulvio Giuliani

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