Indifferenti alla follia
| Cronaca
Quel che è accaduto a Roma, la strage compiuta da Claudio Campiti, è il segno evidente di un fallimento della prevenzione e cura del disagio mentale
Indifferenti alla follia
Quel che è accaduto a Roma, la strage compiuta da Claudio Campiti, è il segno evidente di un fallimento della prevenzione e cura del disagio mentale
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Indifferenti alla follia
Quel che è accaduto a Roma, la strage compiuta da Claudio Campiti, è il segno evidente di un fallimento della prevenzione e cura del disagio mentale
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La follia ci lascia indifferenti, almeno fino a quando il cervello di una persona esplode e lascia intorno a sé morte e dolore. Quel che è accaduto a Roma, la strage compiuta da Claudio Campiti, è il segno evidente di un fallimento della prevenzione e cura del disagio mentale. Siamo inermi di fronte a quelle sinapsi che – come direbbe Antonio Damasio, neuropsichiatra e filosofo – ingarbugliano le emozioni, i sentimenti e il cervello.
Campiti non era un fantasma. Da anni, soprattutto dopo la morte del figlio dodicenne in un incidente in montagna, nella sua mente si era attivato un cortocircuito devastante. Non possiamo giustificarlo per il suo immenso dolore. La maggioranza degli individui, seppur con immani sacrifici, elabora un lutto così terribile quale la perdita di un figlio senza arrivare a gesti di follia. Una lucida follia, questo sì. Un piano studiato nei minimi particolari: la prevista via di fuga a Malaga con in tasca 6mila euro, tre zaini, gli annunci su Facebook, le continue intimidazioni agli altri componenti del consorzio. Un testimone ha raccontato che Campiti viveva in una palazzina dismessa e pericolante, non pagava le spese consortili e talvolta lo si vedeva girare nudo per strada. Non aveva, in quella catapecchia, né luce né gas. Viveva ben oltre i margini. Andò dai Carabinieri per chiedere il porto d’armi. Non gli fu concesso, pur non avendo precedenti penali. Però nessuno si rese conto che quell’uomo era una bomba a orologeria.
I servizi sociali dov’erano? La gente è impressionata e partecipe della esibita ferita dell’intervento chirurgico al cantante Fedez ma è indifferente, infastidita, dalla malattia mentale. La legge Basaglia fece giustamente chiudere i manicomi lager, mise al bando terapie coercitive che si erano rivelate inutili dopo decenni di psichiatria retrograda. Ma si gettò il bambino con l’acqua sporca. Oggi ci si chiede come sia stato possibile a Campiti entrare nel poligono di Tor di Quinto a Roma, prelevare non si sa come una pistola e un nugolo di proiettili per portare a termine quello che la sua mente considerava un atto di giustizia: «Vi ammazzo tutti». Non è andata come avrebbe voluto per il coraggio di un uomo, salvo per miracolo, e il sacrificio di Elisabetta, una delle vittime, che si è lanciata contro l’assassino. Ahinoi, domani è un altro giorno e la nostra indifferenza e quella delle istituzioni per il disagio mentale proseguirà, fino alla prossima strage.
Di Andrea Pamparana
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