La presunzione d’innocenza è intatta, visto che si tratta di una sentenza di primo grado, ma saremmo colpevoli noi se non cogliessimo i problemi che pone la condanna di Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, per reati come favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, truffa, peculato, abuso d’ufficio, il tutto in associazione a delinquere. Lui si dice innocente, ma non è questo il punto.
Intanto la quantificazione della pena: il pubblico ministero, rappresentante l’accusa e la pretesa punitiva dello Stato, aveva chiesto una condanna a 7 anni e 11 mesi di reclusione, il tribunale ha deciso per 13 anni e 2 mesi. Non è una differenza di calcolo. La spiegazione si troverà nelle motivazioni, ma resta che il tribunale ha considerato l’impianto accusatorio insufficiente, non per le prove che adduceva ma per i reati che non vedeva o non qualificava in modo adeguato.
Reati e pena non dicono che l’imputato è uno che abbia violato delle leggi e commesso dei reati a fin di bene (circostanza prevista dal codice) o anche solo per superficialità o faciloneria, ma che si tratta di un criminale che ha scientemente messo in atto il suo disegno.
Tale soggetto oggi, in Calabria, è candidato in una lista guidata da un ex pubblico ministero passato in politica (Luigi De Magistris), artefice di inchieste a gran risalto comunicativo e scarsi risultati in giudizio. Quel che si dice una componente giustizialista. Ergo, posta la premessa e dato per scontato il ricorso, sono diverse le parti chiamate a spiegare.
di Gaia Cenol
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Tag: società
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