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vignale di traversetolo

Le donne e il dramma dell’infanticidio, parla la criminologa e psicologa Cornejo

Dal caso di Parma, della studentessa 22 che avrebbe partorito e seppellito due neonati in giardino, al delitto di Treviso

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Le donne e il dramma dell’infanticidio, parla la criminologa e psicologa Cornejo

Dal caso di Parma, della studentessa 22 che avrebbe partorito e seppellito due neonati in giardino, al delitto di Treviso

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Le donne e il dramma dell’infanticidio, parla la criminologa e psicologa Cornejo

Dal caso di Parma, della studentessa 22 che avrebbe partorito e seppellito due neonati in giardino, al delitto di Treviso

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Dal caso di Parma, della studentessa 22 che avrebbe partorito e seppellito due neonati in giardino, al delitto di Treviso

Col passare delle ore, la storia del doppio infanticidio di Traversetolo assume i contorni di una tragedia. La 22enne che avrebbe dato alla luce due neonati per poi sotterrarli nel giardino di casa, avrebbe anche effettuato specifiche ricerche in rete su come indursi il parto e avrebbe agito da sola. Il secondo bimbo sarebbe nato il 7 agosto, a termine di gravidanza, nella villetta a Vignale di Traversetolo in provincia di Parma in cui la studentessa viveva con i genitori e il fratello minore. Una volta dato alla luce il piccolo, lo avrebbe sepolto sotto un sottile strato di terra, notato poi da un vicino che avrebbe dato l’allarme, permettendone il ritrovamento due giorni dopo, quando la giovane era già partita per New York con la famiglia. Dieci giorni lontano dall’Italia, dopo un gesto che lei non avrebbe ancora motivato agli inquirenti. Sempre lei avrebbe agito da sola in precedenza, se le analisi confermeranno che anche gli altri resti appartengono a un bimbo nato almeno un anno fa, poi deceduto e seppellito. «In ogni caso di cronaca ogni storia è una storia a sé, che ha un suo sviluppo e un suo percorso. Premesso questo, sarebbe importante prima di tutto imparare ad ascoltare le donne e il loro disagio, anche se questo riguarda un tema così polarizzante e delicato come la maternità. Ma nella società della performance sappiamo che anche la maternità ha i suoi diktat e “un solo modo giusto” di farlo”», spiega Paola Calvello Cornejo, psicologa clinica e criminologa.

Ma cosa può aver spinto a un gesto tanto drammatico una giovane che non vive in un contesto di apparente disagio, né economico né psicologico? La studentessa universitaria, fidanzata (ma il ragazzo sarebbe estraneo alla vicenda), in passato era stata volontaria in parrocchia, accompagnava i bambini nella piscina di un centro vicino, in provincia di Reggio, e aveva anche fatto saltuariamente la baby sitter in paese. «Sappiamo che gli aspetti ormonali hanno influenze fortissime sullo stato di salute: la chimica agisce sul cervello – osserva l’esperta – Ma soprattutto va prestata attenzione al senso di solitudine che può essere provato in casi di maternity blues (la depressione post partum) e di vergogna. Questo è un aspetto ancora più complicato, che ha a che fare con l’idealizzazione della maternità e la pressione sociale rispetto alla “performance materna”».

Eppure gli infanticidi non sono così rari. Secondo il rapporto Eures, dal 2010 al 2022 in Italia sono stati commessi 268 figlicidi. Significa una media di quasi uno ogni due settimane: nel 55,6% dei casi (149 episodi) si tratta di bambini con meno di 12 anni. Quanto più le vittime sono grandi, maggiori sono i casi nei quali l’autore del figlicidio è il padre, mentre il rapporto si ribalta quando i bambini hanno tra 0 e 5 anni, quando a compiere il gesto estremo sono soprattutto le madri (61 casi, pari al 57,5%, contro i 45 commessi dai padri, pari al 42,5%). Intanto, solo pochi giorni fa un’altra madre, Susanna Recchia di 45 anni, si è tolta la vita gettandosi in un fiume nel trevigiano, insieme alla figlia di 3 anni. «Questi episodi non sono rari, ma rientrano spesso in casi di “depressione rabbiosa”. Accade quando si pensa di aver perso risorse fondamentali (materiali o psicologiche), in un quadro di fallimento personale o in una perdita di “status”. Allora si rischia di scivolare verso il risentimento, la frustrazione e le pretese, che possono portare a commettere reati. La disfunzione sta proprio nelle pretese che abbiamo verso noi stessi e verso gli altri», conclude l’esperta.

Di Eleonora Lorusso

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