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Morire a Napoli

Morire a Napoli come Francesco Pio Maimone, a soli 18 anni, per colpa di un piede pestato che ci obbliga a vedere la crudezza che tentiamo di nascondere
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Morire a Napoli

Morire a Napoli come Francesco Pio Maimone, a soli 18 anni, per colpa di un piede pestato che ci obbliga a vedere la crudezza che tentiamo di nascondere
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Morire a Napoli come Francesco Pio Maimone, a soli 18 anni, per colpa di un piede pestato che ci obbliga a vedere la crudezza che tentiamo di nascondere
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Morire a Napoli come Francesco Pio Maimone, a soli 18 anni, per colpa di un piede pestato che ci obbliga a vedere la crudezza che tentiamo di nascondere
A scrivere è un napoletano, queste tragedie della follia le ho vissute non ricordo più quante volte nei miei anni partenopei, ne ho dovuto parlare professionalmente fino a scoppiare. Tanto negli anni più bui della città dimenticata anche da se stessa, che in quelli più luminosi del boom turistico e dei riconoscimenti internazionali se c’è qualcosa che non è mai cambiato è la follia della morte e della violenza per nulla. Morire a 18 anni per aver pestato un piede. Da dove cominciare a commentare una bestialità simile? Da dove iniziare a raccontare un dolore che devasta una famiglia e uccide una città intera? Forse dal costringersi a farlo con tutta la crudezza necessaria. Obbligandosi a guardare e sentire. A non scegliere la Napoli dei sogni, facendo finta di non vedere quella disperata, indigeribile e sempre uguale a se stessa. Un immobilismo sociale che mette i brividi e i napoletani vivono tutti i giorni, illudendosi in tanti semplicemente di chiudere “gli altri” nelle fiction più o meno consolatorie. La stessa città espressione di un progetto manageriale, prima che calcistico, ammirato in tutto il mondo. Una città che vive una passione sportiva sconfinata e una gioia collettiva, pronta a proiettarla in tutto il globo. La città indicata fra le mete irrinunciabile del 2023 dal più importante magazine al mondo, Time. La città in cui si può morire al termine di una serata passata con gli amici, in riva a uno dei lungomare più belli, famosi e ammirati al mondo. Francesco Pio Maimone aveva 18 anni e sognava di aprire una pizzeria, magari di rinverdire i fasti dei suoi concittadini che hanno messo su business milionari, grazie al piatto napoletano per eccellenza. È stato ammazzato con un colpo di pistola al petto alle due del mattino di lunedì, in circostanze ancora da definire, ma che appaiono allucinanti nella loro assoluta banalità. Un piede pestato, uno sgarro considerato insopportabile da qualche testa marcia più della sua stessa anima. Una pistola che spunta, colpi prima in aria e poi ad altezza d’uomo, che lo feriscono mortalmente. Una corsa disperata e inutile in ospedale, la morte nella notte. È già successo – ricordavamo le tante volte in cui ne abbiamo scritto – in un passato che si ostina a restare presente. In una città benedetta e maledetta, di cuore e indifferente, luminosa come solo Mergellina può essere, buia come l’abisso di una subcultura accettata da troppi come una maledizione inevitabile. di Fulvio Giuliani

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