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Napoli, gli applausi che fanno male

Gli applausi e lo sconcerto al momento della ricostruzione della morte di Giancarlo Siani, giornalista de Il Mattino ucciso dalla camorra il 25 settembre 1985

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Napoli, gli applausi che fanno male

Gli applausi e lo sconcerto al momento della ricostruzione della morte di Giancarlo Siani, giornalista de Il Mattino ucciso dalla camorra il 25 settembre 1985

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Napoli, gli applausi che fanno male

Gli applausi e lo sconcerto al momento della ricostruzione della morte di Giancarlo Siani, giornalista de Il Mattino ucciso dalla camorra il 25 settembre 1985

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Gli applausi e lo sconcerto al momento della ricostruzione della morte di Giancarlo Siani, giornalista de Il Mattino ucciso dalla camorra il 25 settembre 1985

Mi ha molto colpito la notizia – da non ingigantire, ma neppure sottovalutare – del gruppo di studenti che durante la proiezione del film “Fortapàsc“, in un cinema di Napoli, si sono lasciati andare a un applauso al momento della ricostruzione dell’omicidio del giornalista de Il Mattino Giancarlo Siani, ucciso dalla camorra il 25 settembre 1985.

Mi ha molto colpito perché il tutto è avvenuto nel quartiere dove sono cresciuto, il Vomero, ha coinvolto alcuni studenti di una scuola media che ricordo perfettamente, come il cinema in cui è avvenuto il fatto e, sopra ogni altra cosa, i drammatici eventi che portarono alla fine di un giornalista giovane, appassionato e coraggioso.

Giancarlo Siani, cari ragazzi che nulla sapete, fu schiacciato dalla violenza dei clan in uno dei momenti più bui della vostra città e mia città d’origine. Ha fatto benissimo il fratello di Giancarlo, Paolo, a sollevare la questione e porre domande scomode su come possa accadere qualcosa del genere in pieno III millennio. Cosa sia passato nella testa di ragazzi giovanissimi, in teoria lontani anni luce da qualsiasi retorica della malavita, della violenza e della sopraffazione.

Dicevamo che l’episodio non va ingigantito, perché solo un gruppetto di studenti si è comportato in modo inqualificabile. Ancora, non si può mai escludere in età adolescenziale il gusto perverso della bravata per la bravata, del mostrarsi assurdamente “coraggiosi“ nel fare qualcosa che giustamente mandi in bestia gli insegnanti e gli adulti.

Eppure non riusciamo a consolarci, perché se vengono meno i freni inibitori che dovrebbero evitare una simile manifestazione di imbecillità c’è da chiedersi perché. Quanto la violenza e il ‘potere’ malamente inteso esercitino un orrendo fascino. Anche quello di fare del male al prossimo, se non addirittura uccidere perché non ci si piega.

Li rivedo, alcuni di quei coetanei di chi ha applaudito (e ci auguriamo vengano puniti come meritano), atteggiarsi nel look e nella parlata a personaggi delle fiction televisive o a trapper di strada, impegnati a scimmiottare riferimenti sociali statunitensi che nulla hanno a che vedere con i nostri quartieri e le nostre problematiche.

C’è solo una nauseante cornice, un apparire volgare e imbastardito, in cui questi ragazzini sguazzano senza neppure pensare. Si fermano a una superficie di capelli laccati con la scriminatura, baffetti che farebbero tenerezza se non richiamassero personaggi inquietanti, espressioni e linguaggi del corpo presi in prestito da delinquenti senza comprenderne neppure il significato.

Abbiamo scritto di augurarci un’adeguata punizione e lo confermiamo, ma i primi con cui vorremmo parlare sono i loro genitori, per capire se in casa è mai capitato – magari per sbaglio – di parlare di chi ha lottato per Napoli, di legalità, di eroi e di quale abisso ci sia fra chi dedica la vita agli altri e chi la distrugge.

di Fulvio Giuliani

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