Se non fossimo garantisti irriducibili ma acrimoniosi tifosi del giustizialismo – impegnati a gioire delle disgrazie altrui, meschinamente felici di vedere invischiato in un’aula di Tribunale l’avversario politico o il personaggio a noi antipatico – faremmo fatica a non godere per il simbolico contrappasso di Piercamillo Davigo.
L’ex consigliere del Csm, che negli ultimi anni ha trasferito la sua residenza sui giornali cari alle Procure e negli studi televisivi abituati a celebrare processi sommari, è diventato ufficialmente un imputato. Il procuratore di Brescia Francesco Prete e il pm Donato Greco hanno firmato la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti suoi e del pm milanese Paolo Storari per rivelazione del segreto d’ufficio in merito alla vicenda dei verbali di Piero Amara sulla presunta Loggia Ungheria.
E se quest’ultima entità conserva i tipici tratti nebulosi che accompagnano molte inchieste ‘a tesi’, molto più concreto ci appare invece il contesto in cui sono maturate le accuse a Davigo: quello di un ordine giudiziario impegnato in chiassose guerre per bande e che da tempo ha purtroppo perduto gran parte della sua autorevolezza. S’invera così la profezia di Francesco Cossiga: «Alla fine finiranno ad arrestarsi tra di loro».
Quanto all’imputato Davigo, auguriamo anche a lui di non dover subire la gogna mediatica e di trovare un giudice sereno. Uno, per intenderci, che a suo tempo non abbia condiviso la sua celebre frase: «Non esistono innocenti, ma solo colpevoli non ancora scoperti».
di Vittorio Pezzuto
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