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Processo Alessia Pifferi, il dietro le quinte di un incubo

L’illustratore all’americana, l’aspirante criminologa, una futura infermiera pediatrica. Chi sono i curiosi in aula al processo Pifferi e perché hanno voluto essere lì a ogni costo
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Processo Alessia Pifferi, il dietro le quinte di un incubo

L’illustratore all’americana, l’aspirante criminologa, una futura infermiera pediatrica. Chi sono i curiosi in aula al processo Pifferi e perché hanno voluto essere lì a ogni costo
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Processo Alessia Pifferi, il dietro le quinte di un incubo

L’illustratore all’americana, l’aspirante criminologa, una futura infermiera pediatrica. Chi sono i curiosi in aula al processo Pifferi e perché hanno voluto essere lì a ogni costo
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L’illustratore all’americana, l’aspirante criminologa, una futura infermiera pediatrica. Chi sono i curiosi in aula al processo Pifferi e perché hanno voluto essere lì a ogni costo
Arianna Ghiorzi ha grandi occhi chiari, sembra più piccola della sua età, 21 anni appena ma con le idee già chiarissime: aspirante criminologa. Alla sua sinistra siede Gloria Pinzan, sua coetanea, studentessa  di infermieristica a cui piacerebbe specializzarsi in pediatria. Dice di essere rimasta troppo scossa da questo caso e che per questo ha voluto assistere all’udienza del processo che vede come imputata Alessia Pifferi, la donna che si fa fatica a chiamare madre e che nel 2021 ha provocato la morte della figlia, la piccola Diana, lasciandola morire di fame e di sete. “Vorrei provare a capire cosa può portare una donna a compiere un’azione del genere. Questa persona deve essere stata lasciata molto sola, altrimenti non me lo spiego – ci dice la futura infermiera – Per dire: come mai la bambina non aveva un pediatra? Possibile che nessuno se ne sia mai accorto? Le neomamme andrebbero seguite di più. E’ anche una questione di ormoni”.  Arianna, a differenza di Gloria, ha già assistito ad altri processi (“quello in cui due latitanti hanno prima ucciso e poi bruciato una signora anziana per derubarla) e il suo approccio è molto più freddo e razionale. Da criminologa appunto.   Cercano entrambe un perché, delle risposte, le due giovani che si sono conosciute oggi in quest’aula che, ad occhio, non supera i 15 metri per 6 e dove c’è molta, troppa gente. Il caldo è soffocante. Il pm Francesco De Tommasi più di una volta è costretto a farsi scivolare giù la pesante toga per “respirare” un po’. Su un punto le due ragazze sono d’accordo: la Pifferi merita di non uscire mai più. Siamo in Corte D’Assise, primo piano del Palazzo di Giustizia di Milano. Giornalisti, curiosi, parenti, tutti accalcati.  corte d'assise pifferi Viaviana, la sorella di Alessia Pifferi siede due banchi più in là. Si riconosce subito, il suo sguardo sputa saette quando l’imputata racconta una verità opposta alla sua. Si leggono rassegnazione, stupore e sicuramente odio, disprezzo “perché sarebbe bastata una semplice telefonata a salvare la vita a mia nipote” sbotta. Entrambe vestono una giacca bianca, solo che la sorella di Alessia, come a ogni udienza, indossa sotto una maglia che ritrae la foto della piccola Diana sorridente. Aveva 18 mesi, quando dopo sei giorni di agonia in cui è stata lasciata sola, è morta tra le proprie feci, senza il pannolino, che si era tolto e i cui brandelli sono stati ritrovati nello stomaco nel tentativo di placare la fame. No, non si assomigliano nemmeno un po’ le due sorelle: l’una è bionda, l’altra si sta lasciando i capelli bianchi ed è netto il contrasto della ricrescita. Una è acqua e sapone, senza un filo di trucco, l’altra, Alessia Pifferi, non rinuncia a rossetto rosso, ombretto azzurro, eye-liner nero, un copioso strato di fondotinta su cui ha spolverato una buona dose di high-lighter per illuminare i punti strategici del volto. L’aula è piena di telecamere che la riprendono. E’ probabile che tutto finirà presto o tardi in una puntata di “Un giorno in pretura” la fortunata serie in onda da decenni su Rai Tre. Molto prima a Quarto Grado in onda su Rete Quattro, oggi in tutti i tg.    Andrea Spinelli, 32 anni, stamane deve essere arrivato tra i primi. Siede infatti nel punto dove si ha la miglior visuale sul banco degli imputati. Mentre la signora Pifferi spiega che lei da Diana non si staccava mai, che lei e la bimba erano legatissime, lui intinge il pennello e comincia a dipingere. “Si chiama court catching – ci racconta il ragazzo che nella vita fa l’illustratore – Negli USA è una pratica molto diffusa quella di ritrarre gli imputati e gli uomini della corte. Così l’anno scorso ho scritto a Fabio Roia il presidente del tribunale di Milano, chiedendo se la cosa potesse interessare e lui mi ha dato il via libera. Ho già realizzato una 70ina di opere. Chi sono i miei clienti? I giudici e gli avvocati per esempio. Li comprano per esporli nei propri studi!”. Il tempo di scambiare con lui poche battute e suona la campanella. La pausa chiesta dalla difesa della Pifferi giunge al termine. Entra il giudice Ilio Mannucci Pacini e la giuria popolare. Ci alziamo tutti in piedi. La donna che non ha mai versato una lacrima da inizio processo, sembra essersi ripresa. Prima appariva stanca e accaldata, il pesante maquillage non aiuta in casi come questi.  Cala di nuovo il silenzio. Un silenzio che si fa più pesante quando si apre l’ampia pagina in cui ci si addentra nei particolari che raccontano le condizioni in cui è stata rinvenuta la piccola Diana. Le persone sospirano, il pm fa una lunga pausa per dare ancora più forza ai detti, come ai non detti. “Signora Pifferi, una bambina se non mangia e non beve rischia di non sopravvivere?” incalza. “Non lo so” risponde la donna “ lei però per favore non mi sgridi”.

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