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Quei suicidi in carcere ignorati

Il numero annuale di suicidi in carcere negli ultimi anni è andato crescendo in modo molto significativo
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Quei suicidi in carcere ignorati

Il numero annuale di suicidi in carcere negli ultimi anni è andato crescendo in modo molto significativo
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Quei suicidi in carcere ignorati

Il numero annuale di suicidi in carcere negli ultimi anni è andato crescendo in modo molto significativo
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Il numero annuale di suicidi in carcere negli ultimi anni è andato crescendo in modo molto significativo

Le scelte politiche di fondo di un governo non dipendono dai media, ma dai programmi generali di chi vince le elezioni. Di norma, nessuna campagna di stampa può determinare se un governo aumenta le tasse o le riduce, se investe o disinveste sulla sanità, se concede o nega aumenti salariali ai dipendenti pubblici. Quando le cifre che ballano sono grandi (dell’ordine di miliardi), l’opinione pubblica e i media pesano poco (anche se spesso si comportano come se contassero molto).

Ci sono tuttavia ambiti in cui l’umore dell’opinione pubblica e le pressioni dei grandi media possono spostare qualcosa. Sono gli ambiti in cui scelte significative possono essere compiute a costo zero (è il caso dell’introduzione o della soppressione di un reato) o comunque a costi modesti (dell’ordine di decine o centinaia di milioni). Ecco perché può essere interessante osservare quali siano le questioni su cui i media sentono il dovere di scendere in campo e quali le questioni su cui preferiscono tacere o battere in ritirata.

Fra le prime, la più eclatante è certamente quella della violenza sulle donne e dei femminicidi. Credo che, negli ultimi decenni, nessun tema abbia attirato un’attenzione paragonabile a quella suscitata dall’uccisione di Giulia Cecchettin. La lotta contro i femminicidi è percepita, giustamente, non solo come una priorità ma come una grande questione di civiltà. E questo nonostante i numeri coinvolti siano fra i più bassi del mondo: fra le società avanzate soltanto Singapore, Giappone e Grecia hanno tassi inferiori a quelli dell’Italia, mentre Paesi come Stati Uniti, Canada, Germania, Francia hanno tassi molto più alti.

Ma c’è un’altra questione che, diversamente da quella dei femminicidi, non sembra scaldare i cuori: il suicidio in carcere. Il numero annuale di detenuti suicidi è analogo al numero di donne vittime di femminicidio (fra 40 e 90 l’anno) ma, a differenza del secondo, negli ultimi anni è andato crescendo in modo molto significativo. Nel triennio 2017-2019, prima del Covid, la media era di 50 casi l’anno. Nei primi due anni dell’epidemia (2020-21) è salito a 60. Ma nel 2022 ha avuto un ulteriore balzo in avanti, raggiungendo le 84 unità, il massimo storico. Quanto al 2023, siamo già a quota 67 ed è verosimile che alla fine dell’anno si torni in prossimità del dato record dell’anno scorso. Se consideriamo che la popolazione carceraria è meno di 1 millesimo di quella generale, si tratta di un tasso di suicidio 20-25 volte quello del resto della popolazione.

Si potrebbero fare tante cose. Le associazioni che si occupano dei detenuti e delle loro condizioni di vita le hanno indicate innumerevoli volte: ampliare gli spazi, rafforzare l’assistenza medica e psicologica, dare la possibilità di studiare e lavorare, soltanto per citare alcune priorità.

Sono importanti, quale che sia il governo in carica, perché le condizioni delle carceri e dei loro ospiti sono un indicatore fondamentale del grado di civiltà di un Paese. Ma sono particolarmente importanti per un governo di destra che si appresta a invertire il segno della politica carceraria, abbandonando la strada seguita fin qui fatta di amnistie, indulti, misure alternative, depenalizzazioni. Proprio perché si accinge a valorizzare lo strumento del carcere come misura di “incapacitazione” (mettere qualcuno in condizione di non nuocere), l’esecutivo dovrebbe sentire il dovere etico di rendere le carceri un luogo civile o meno incivile di com’è sempre stato e di com’è tuttora. Si può ritenere necessario inasprire le pene (e soprattutto la probabilità che vengano effettivamente scontate), ma non si può fare questo peggiorando ulteriormente le condizioni delle carceri, come inevitabilmente accadrebbe con maggiori ingressi (già ora i detenuti sono di più dei posti disponibili).

È triste constatare come l’opinione pubblica e i media, sensibilissimi al tema della violenza sulle donne, non concedano uno spicchio della loro attenzione al più prosaico tema della vita nelle carceri.

di Luca Ricolfi

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