Mahmoud e Ramy. Vite e tragedie che si incrociano a Milano
Ramy e Mahmoud, così si chiamava il 20enne, non sono la stessa persona. Soprattutto non sono due storie uguali

Mahmoud e Ramy. Vite e tragedie che si incrociano a Milano
Ramy e Mahmoud, così si chiamava il 20enne, non sono la stessa persona. Soprattutto non sono due storie uguali
Mahmoud e Ramy. Vite e tragedie che si incrociano a Milano
Ramy e Mahmoud, così si chiamava il 20enne, non sono la stessa persona. Soprattutto non sono due storie uguali
C’è un ragazzo, di origine libica, morto mentre era in sella a uno scooterone. Morto in piena notte a Milano, mentre scappava dalla polizia perché non aveva la patente. Un ragazzo che viveva a pochi passi da Ramy, il giovane morto alcuni mesi fa dopo essere scappato da una gazzella dei Carabinieri. Due ragazzi, due immigrati di seconda generazione, lo stesso quartiere, il Corvetto, una delle periferie problematiche di Milano. Si fa presto a mettere insieme le due storie, si fa presto a parlare appunto di un nuovo caso Ramy. Si fa presto a riaccendere la miccia di una tensione, contro le forze dell’ordine, forse mai davvero sopita.
Ma Ramy e Mahmoud, così si chiamava il 20enne, non sono la stessa persona. Soprattutto non sono due storie uguali perché in quest’ultima vicenda, su cui pure si stanno già svolgendo accertamenti, sembra chiaro sin dalle prime ore successive che la volante della polizia sia arrivata diversi secondo dopo che il ragazzo si era schiantato contro un incrocio, complice probabilmente l’alta velocità e la cilindrata di quello scooterone che lui non poteva guidare.
In ogni caso, invocare un nuovo caso Ramy, anche da parte di chi queste storie le racconta, significa rischiare di far esplodere nuovamente una situazione già difficile. C’è una responsabilità, anche quando si racconta. Anche se certi titoli a effetto garantiscono più clic. Sicuramente, questo 20enne, con precedenti per stupefacenti, scappava dalle forze dell’ordine. Come Ramy. Era amico, di Ramy. Vivevano a pochi passi di distanza. Ma le analogie finiscono qui, almeno a quanto si sa al momento. E chi scrive, chi racconta, ai fatti si dovrebbe attenere. Anche se significa qualche clic in meno.
di Annalisa Grandi
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